Per l'invio di EP, demo o full-length contattatemi a questo indirizzo: marco-gattini@hotmail.it

lunedì 28 ottobre 2013

Science of Sleep - Exhaust






Year: 2013
Genre: Deathcore
Label: Bastardized Recordings
Sounds Like: Thy Art Is Murder, I Declare War
Sentence: TAIS are in Germany! (7)

Dopo che i Thy Art is Murder hanno rilasciato un disco, "Hate", che per quanto mi fosse piaciuto, sono consapevole che esso non lascerà il segno tra i migliori del genere, ecco che ritornano i Science of Sleep, una band deathcore tedesca, che di TAIS ha veramente molto (e forse anche troppo). Ma torniamo leggermente indietro, precisamente al primo lavoro pubblicato dalla band, ovvero l'ep "Affliction"; partiamo subito dicendo che era un autoprodotto e per forza di cose, risultava essere più grezzo di questo "Exhaust", dunque la differenza di qualità è nettissima: ma questo ci sta. Ma lasciando stare queste pecche, quasi inevitabili se vogliamo, l'ep nel complesso risultava veramente ben fatto, con qualche idea quasi "nuova" e con una devastazione incredibile, per non parlare della traccia "Fraudulent Misrepresentation", una dei migliori pezzi deathcore degli ultimi anni. Detto ciò vediamo questo "Exhaust" se ha superato il test oppure no, anche se già vi accenno subito che una risposta ben precisa a questa domanda non la troverete, almeno non da me. Come già detto i TAIS non hanno stupito con l'ultimo album, per cui non è che questi Science of Sleep volevano rimediare, facendo uscire un disco sulla scia di quello ma con un impronta migliore? Forse è quello che volevano fare, ma ahimé non ci sono proprio riusciti. Se intendevano fare una cosa del genere, dovevano prendere alcuni elementi e trasformarli in idee personali, anziché prendere una buona parte di riff identici e cambiarli un po'. Se avete ascoltato ogni disco/ep/promo dei TAIS capirete cosa sto dicendo. Non saprei nemmeno come descrivere le tracce, perché leggendo quello che ho scritto sopra, lo capirebbe chiunque abbia un orecchio un po'allenato per questi generi estremi. Fatto sta, che l'idea che si ispirino a una delle mie band preferite del settore deathcore mi è piaciuta e non poco, ma questi hanno senza dubbio esagerato. Alcune webzine gli hanno dato 5, altre addirittura 10! Voti, dal mio punto di vista completamente errati, anche perché 5 è decisamente troppo poco, dato che gode di un'ottima produzione e di una potenza inaudita che non si spegne per tutta la durata (37 minuti circa), e 10 beh, è decisamente troppo per i motivi appena elencati. Spero vivamente in un ritorno più "personale" della band, dato che le idee chiare ce l'hanno, ma dovrebbero distaccarsi dalla teoria del deathcore di stampo australiano (giusto per non ripetere), e formarsi una propria scanalatura di personalità e inventiva, che ancora non hanno mostrato. Conclusione: se adorate queste sonorità, un po' ripetitive all'infinito e oltre, allora ascoltatelo senza ripensamenti, ma se cercate qualcosa di nuovo da questo genere, è già strano che siete arrivati fino a qua a leggere...beh comunque sia non farà per voi.

-Marco




venerdì 25 ottobre 2013

Bear - Noumenon






Year: 2013
Genre: Djent/Mathcore
Label: Basick Records
Sounds Like: Tony Danza Tapdance Extravaganza, Acheode
Sentence: Little masterpiece (8,5)

Bear. Un nome una garanzia.
Da un nome così ci si può aspettare un suono possente, spaventoso, come appunto dev'essere trovarsi un orso davanti mentre si fa un tranquillo pic-nic, con la morosa (cosa che credo pochi facciano). Si entra nell'ambito musicale che adoro più di tutti: il djent, ma non normale, sincopato e di "facile" comprensione come Periphery o Veil of Maya; qua si oltrepassano i limiti dell'armonia e della melodia per arrivare a quel suono che per la sua stranezza risulta fantastico e piacevole da ascoltare. I Bear con questo loro secondo disco "Noumenon", uscito il 7 di ottobre, propongono un djent malato, matematico, con la maggior parte dei riff abbastanza incomprensibili per un orecchio non allenato, esempio di questo sono le tracce "Rain" e "The falling" che con certi passaggi hanno spaventato pure me, ascoltatore assiduo di gruppi come Tony Danza Tapdance Extravaganza e simili. Il lavoro dal punto di vista della chitarra risulta perfetto, certo è inquietante e incomprensibile in certi punti ma forse è questo il fattore che mi ha fatto amare alla follia questo gruppo sin da subito.

La voce: per questo serve un capitolo a parte.  I vocalizzi del cantante mi hanno ipnotizzato per tutta la durata del disco, grattati, cattivi, e potenti. Ovviamente pure in questo campo vi è la componente inquietante ad esempio nella traccia "Rain" le parti di voci pulita le ho ascoltate più di 20 volte, dato che ne sono stato attirato sin dal primo ascolto. Nel complesso questo disco risulta un ascolto difficile per orecchie abituate a sound "puri" e di facile comprensione come i già citati Periphery o qualsiasi altro gruppo, però può comunque essere veramente piacevole, tracce differenti fra loro e mai ripetitive. La componente malata di questo disco per me è un fattore positivo, anzi, ULTRA positivo, per altri invece può essere un difetto, quindi si sa che il mio parere non può essere totalmente oggettivo. Però vi invito calorosamente a godere insieme a me di questa perla offerta da questo nobile quartetto belga.

-Andrea Facchinello


lunedì 21 ottobre 2013

Burzum - Sol austan, Mani vestan






Year: 2013
Genre: Dark ambient
Label: Byelobog productions
Sounds Like: Tangerine Dream
Sentence: Best of year? (8)

Varg Vikernes, dopo il discreto “Umskiptar” dell’anno scorso, ultimo (per ora) disco black metal a marchio Burzum, torna quest’anno con il suo terzo album ambient, dopo Daudi Baldrs (1997) e Hlidskjàlf (1999). Quegli album furono registrati quando Varg era in prigione e non gli era possibile suonare gli strumenti necessari ad un album black metal, ma quella di quest’anno è una precisa scelta della one man band norvegese, che esplora sempre più a fondo le antiche tradizioni pagane, così care a Vikernes, che proprio per questo si è tanto dato da fare in passato, come tutti ormai sappiamo, nel rogo di numerose chiese cristiane, simboli dell’eradicamento del paganesimo dalla sua antica terra. Varg cita i Tangerine Dream ed i 2 precedenti Burzum sovracitati, per descrivere lo stile di questo nuovo album, che in antico norvegese significa “Ad est del Sole, ad Ovest della Luna” e fa da colonna sonora al film-documentario “Forebears”, prodotto e diretto dallo stesso Vikernes e da sua moglie. La copertina è molto bella: Il ratto di Proserpina (1888) dello spagnolo Ulpiano Checa. Il viaggio inizia proprio con “Sol Austan”: suoni “cosmici” che fanno pensare (ad un appassionato di fantascienza come me) al lungo sonno criogenico di un equipaggio di un’astronave alla deriva nello spazio, che dorme inconsapevole della rotta seguita. In “Runar Munt Pu Finna” fanno la loro comparsa alcune percussioni, tra cui un martello che colpisce l’incudine, e un basso acustico, e per proseguire la mia fantasia, questa bella traccia mi porta, dopo l’atterraggio dell’astronave su un pianeta sconosciuto, al risveglio dell’equipaggio, dopo anni di stasi. “Solarras” introduce alcune note di chitarra acustica, mentre i sette membri della spedizione danno il via all’esplorazione di questo nuovo mondo freddo, roccioso, arido e all’apparenza disabitato. Ad un tratto però qualcosa cambia: il sentore di un pericolo, di qualcuno o qualcosa che osserva, studia, giudica.. è “Haugaeldr”, con le sue tastiere “cosmiche” incalzanti e ansiogene; pericolo scampato, perché la minaccia svanisce di fronte ad un’aperta manifestazione di pace, da parte di una “tribù” di nativi del posto (Fedrahellir), che con molta calma, ma appassionatamente, riescono a spiegare la loro condizione: stanno morendo, sono gli ultimi esseri viventi rimasti sul piccolo pianeta morente (Solargudi); sembrano accettare con filosofia la loro condizione e rifiutano di farsi aiutare (Ganga at Solu). Perché? Perché sanno che non c’è niente da fare.. il pianeta è infetto, ed infetta chiunque lo abiti troppo a lungo. Per loro non c’è più niente da fare ormai, ma i terrestri possono salvarsi, se se ne andranno subito. Rivelazione sconvolgente (Hid) convalidata dai dati che i sistemi di sicurezza delle loro tute comunicano ai terrestri: c’è qualcosa che non va.. l’ansia cresce, com’è possibile? Sono sul pianeta da nemmeno un’ora ed indossano le tute di sicurezza.. forse gli indigeni sono più resistenti, essendo nati lì, ma nei terrestri, qualsiasi cosa sia, ha trovato un terreno troppo facile da aggredire col suo male..il sentore della morte cresce sempre più, mentre alcuni di loro cadono a terra in preda a convulsioni (Heljarmyrkr). Negli occhi degli indigeni c’è tristezza, accettazione, fatalismo (Mani Vestan), mentre guardano i terrestri cadere uno dopo l’altro, mentre osservano uno di loro che fugge verso l’astronave e da il via alla procedura di ritorno sulla Terra, prima di cadere anch’esso. L’unica cosa che possono fare, oramai, è riportare, con grande fatica, i corpi a bordo dell’astronave, per farne una tomba. Il pensiero di fuggire con quel mezzo, programmato per tornare sul pianeta dal quale è partito sfiora le loro menti, ma solo per poco, perché la loro presenza porterebbe il male anche lì. Così tornano indietro, verso il loro villaggio, nell’attesa della morte (Solbjorg). Certamente Sol Austan, Mani Vestan è un album che può annoiare, ma ascoltato nel modo giusto e nel posto giusto riesce a creare atmosfere bellissime. L’ho ascoltato a lungo nel  mio negozio, e più di una volta i clienti mi hanno chiesto che musica fosse quella che stavo ascoltando, dimostrando di apprezzarla. Ho evitato di dirgli chi fosse l’autore, ma dentro di me sorridevo compiaciuto.

-Pierluigi Bani





giovedì 17 ottobre 2013

The Browning - Hypernova






Year: 2013
Genre: Metalcore/Electronic
Label: Earache/Century Media Records
Sounds Like: Breakdown of Sanity, The Crimson Armada
Sentence: Lack of new elements (7)

Ormai non dobbiamo stupirci più di nulla. La musica continua e continuerà sempre a assumere diverse sfaccettature nel bene e nel male se vogliamo. Anche il metal, genere che agli inizi criticava la musica da console fatta unicamente da una persona che sfrega dei piatti. Ma ormai oggi il metal ha incontrato e sposato l'elettronica, anche se ai fans dell'old school questa cosa non va tanto giù. Bene ed è proprio in questo nuovo genere, che nascono i Browning, band che aggiunge al solito metalcore/deathcore fatto di scream, growl e breakdown, elementi derivati appunto dall'elettronica. Mi era piaciuto molto il loro album di debutto "Burn This World", ed è proprio grazie a quel disco che mi son avvicinato a questo interessante miscuglio di generi. Oggi 2013, si ripresentano forti di una buona fama mondiale, con questo "Hypernova". La formula è sempre quella: breakdown accompagnato da growl, manciata di riff accompagnati da scream metalcore ed elementi di elettronica pura a sfalzare ed a rendere il tutto molto imprevedibile. Proprio lo stesso procedimento che presentava "Burn This World"; per cui non aspettatevi nulla di nuovo, anche perché a parer mio ogni singolo brano di questo disco poteva fare la sua comparsa senza problemi nel precedente. Detto ciò mi sembra inutile analizzare le tracce, dato che direi le stesse identiche cose per ogni cazzo di brano. Tuttavia a me, soggettivamente parlando ovviamente, è piaciuto molto. Le chitarre sono "vive" e si fanno sentire, non aspettatevi nulla di tecnico però; anche la voce di "McBee" crea il giusto ritmo e la giusta frenesia. Le parti di batteria sono abbastanza semplici, per cui nulla da dire e le parti di elettronica, beh quelle sono il top (cosa prevedibile che dite?), arrivano sempre al giusto momento e svaniscono quando i VERI strumenti, devono dominare la scena. Perciò che dire? Ripeto che per me è un buonissimo disco, che fa la sua figura riguardo al genere molto singolare; ascoltatelo senza problemi anche senza ascoltarvi il precedente lavoro, perché la differenza è davvero minima.

-Marco





lunedì 14 ottobre 2013

Conducting From the Grave - Conducting From the Grave






Year: 2013
Genre: Melodic Deathcore
Label: Independent
Sounds Like: Recite the Raven, As the monster becomes
Sentence: Majestic (8)

Se a quel piccolo capolavoro che è "Siege Breaker" dei Recite the Raven ho dato solo un "misero" 7,5, a questo oserei dire, imponente lavoro, omonimo, dei Conducting from the Grave dovrò riservare un voto assai superiore. Ovviamente si sa che il recensore ci mette il suo zampino e la recensione sarà sempre un po' soggettiva, ma in questo caso sarò il più oggettivo possibile dicendo che i Conducting From the Grave hanno prodotto un vero capolavoro del deathcore moderno. Prima di entrare nei particolari di questo lavoro bisogna dire che la band è attiva dall'ormai lontano 2003 e il primo loro full-length risale al 2009. "Conducting from the grave" è il terzo tassello per il gruppo, che sin dall'uscita del loro primo album hanno riscosso un notevole successo. Comincio col dire che  non mi dilungherò parlando traccia per traccia dato che ogni brano è ottimo, le sbavature sono pochissime quindi preferisco dare un'infarinatura generale di quello che può essere l'ascolto di questo disco. Sin dalla prima traccia si nota quanto il deathcore proposto da questa band non sia quello piatto e affine a se stesso solito del genere, infatti il gruppo aggiunge molte parti armoniche e parti molto sincopate, quindi facendo risultare il tutto molto più piacevole per l'ascoltatore. Come ho detto prima questo disco è veramente imponente soprattutto in brani come "The rise" dove sfuriate degne dei deathsters più capaci, sia da parte delle chitarre, che da parte delle batterie.  Come sempre però c'è da tenere conto, soprattutto in questo genere, della voce che in questo album è fantastica, scream potenti che propongono un muro sonoro devastante! Nonostante il genere che si portano dietro questi giovanotti propongono anche parti in pulito, come nella quarta traccia "Signs", proposta sempre in modo fantastico (un dettaglio che mi pare doveroso aggiungere è che dopo le parti in voce pulita partono i breakdown più imponenti del disco, sempre a favore della malleabilità di questa band). Disco per niente banale o ripetitivo, difficile trovare sbavature, magari qualche riff un po' scontato, ma sono si e no 2 in tutto il disco, cosa che passa sicuramente in secondo piano rispetto alla prepotenza del resto del guitar-work. Come avete capito questo è un album vario, che può piacere ma anche non piacere, magari ad alcuni può dare fastidio questa alternanza di parti melodiche a parti feroci, ma dal canto mio, questo  è un punto a favore dato che in pochi riescono a fare questo senza cadere nella banalità. Ho elogiato abbastanza questo lavoro quindi a voi il giudizio finale, ma sappiate che non vi pentirete affatto quando l'avrete ascoltato.

-Andrea Facchinello



venerdì 11 ottobre 2013

Annihilator – Feast






Year: 2013
Genre: Technical Thrash/Groove
Label: UDR
Sounds Like: Metallica/ Havok
Sentence: Very good (8)

Come avevo accennato nella mia prima recensione (su “Waves of Destruction” degli Hate Force One) il thrash metal di questi tempi è tornato alla ribalta quasi solo in ambito underground, con band come Sanity's Rage, Vektor, Havok ed altre che replicano quanto di buono hanno espresso i Big 4 e simili negli anni d'oro della Bay Area degli anni '80. Tra questi due contesti i canadesi Annihilator si sono sempre mossi nel mezzo, con una carriera piena di alti e bassi quasi trentennale e con alle spalle capolavori storici del technical thrash metal come “Alice In Hell” o “King of The Kill”. Dopo un lungo periodo di chiaroscuri e l'ennesimo cambio di formazione, il duo Jeff Waters/ Dave Padden, accompagnati da Mark Harshaw alla batteria e Alberto Campuzano al basso, rilasciano il loro quattordicesimo lavoro in studio, “Feast”. Guardando la copertina dell'album, che  ritrae uno zombie intento a banchettare (sono “fan” di tutto ciò che ha a che fare con i morti viventi), mi sono detto: “perché mettere uno zombie in una copertina di un disco thrash metal?”. Così, dopo averlo messo nell'Ipod, spingo “play” ed inizio ad ascoltare. La risposta a questa domanda non l'ho ancora trovata, però il disco è ELETTRIZZANTE, cacchio! Ma vado per ordine. Si comincia con “Deadlock”, traccia in stile "Kill' Em All" che mette subito in chiaro come Waters abbia deciso di tornare a fare le cose in grande: riff velocissimi, ritmica precisa come un orologio e la voce di Padden che bene o male fa il suo lavoro, anche se non particolarmente ispirata. Si passa poi a “No Way Out” e “Smear Campaign”, senza dubbio le tracce più arrabbiate di tutto l'album, che consolidano Harshaw come un batterista pieno di talento; vi è poi la traccia che mi ha lasciato un po' perplesso in tutto l'album: “No Surrender”. Sembra quasi che abbiano voluto emulare i Red Hot Chili Peppers o i Living Colour, visto il taglio decisamente Funk che se da un lato è una piacevole varietà al sound del gruppo, dall'altro  è una traccia fuori posto rispetto alle altre. Si passa a “Perfect Angel Eyes”, ballad in puro stile Annihilator, che per i più duri risulterà noiosa, mentre per gli altri sarà il momento di spalancare le porte al passato storico degli Annihilator. “Fight the World” (classica thrash song con l'inizio a chitarra acustica) è un po' spaccata in due : da un lato Campuzano ci regala un assolo di basso davvero degno di nota, dall'altro la  performance vocale di Padden in questa traccia l'ho trovata un po' penosa e sottotono rispetto alle altre, ma niente di grave. La traccia migliore dell'album sicuramente è la finale “One Falls, Two Rises”: 8 minuti (la più lunga dell'album) assolutamente perfetti fra cambi di tempo, parti groove, tecnica a mille e potenza inaudita che conclude in bellezza un grande (e deciso) ritorno per gli Annihilator nello scenario Metal moderno. Sì, mi sento decisamente soddisfatto. Alcuni di voi diranno “Disco thrash dell'anno?”; di sicuro non lo è (in questo ambito ritengo “Unnatural Selection” degli Havok degno di tale posto), però rimane un eccellente lavoro di coerenza e recupero musicale attuato negli ultimi anni che va ascoltato con passione e gioia. Non ho ancora trovato risposta alla domanda “perché mettere uno zombie in una copertina di un disco thrash metal?”, ma vabbeh; almeno sono contento.

-Lorenzo Tagliatesta








lunedì 7 ottobre 2013

Scent of Death - Of Martyrs's Agony and Hate






Year: 2012
Genre: Technical Death Metal
Label: Pathologically Explicit Recordings
Sounds Like: Immolation, Behemoth, Nile
Sentence: The Death Metal! (8,5)

Sicuramente non famosa nel mondo per le sue emergenti band di stampo death metal, la Spagna è qui per portarci (oltre agli acclamatissimi Wormed) un nuovo estratto davvero estremo: gli Scent of Death! Questo quintetto ritorna dopo ben 7 anni, dall'ultimo "Woven in the Book of Hate" nel quale grazie ad esso abbiamo imparato a conoscerli ed ad assaporare l'estremità made in Spagna. Ma oggi, il quintetto dopo molteplici cambi di line up è qui per marchiare la scena mondiale con un disco che, secondo me, ha buone possibilità di farlo: "Of Martyrs's Agony and Hate". Già dalla cover possiamo subito intuire una fortissima influenza di blasfemia nello stile e nei testi e già con questo elemento possiamo parlare di roba old school, anche se nel sound non mancheranno elementi moderni. L'album presenta 9 brani, di cui uno instrumental, all'insegna del death metal più estremo, molto influenzato da band come Immolation e Behemoth e Morbid Angel (vecchi, ovvio).

Qui di fianco l'attuale line up della band.


Ed ora analizziamo ogni traccia di questo "Of Martyrs's Agony and Hate".

Ad aprire le danze abbiamo "Awakening of the Liar", che inizia con la classica intro inquietante che ad un tratto lascia spazio al devasto prodotto da quella macchina di Rolando alla batteria e Sérgio alla voce, mentre le chitarre già si mostrano possenti e molto ben regolate nell'insieme. Classico brano death metal, con cambi di tempo allucinanti e formazione che non perde mai di potenza. Assolo molto alla Immolation, lento con armonici qua e là. Non si poteva iniziare in modo migliore.
"The Enemy of My Enemy", ti fa subito capire, che non avrebbe senso se non sorretto dal precedente; questo a significare che l'album deve essere sentito tutto d'un fiato, senza pause ne cambi di traccia, perché perderebbe gran parte della sua incisività. Anche qui troviamo a metà un assolo a rompere l'estremità poco prima raggiunta; non voglio essere ripetitivo ma qui a tratti sembra veramente di sentire gli Immolation, ma troviamo anche evidenti rimandi a "Zos Kia Cultus" dei Behemoth.
"Ego Te Provoco" inizia con i prima citati armonici, poi si stabilizza restando comunque sia imprevedibile in alcuni punti...e termina, con uno dei riff (sempre usando armonici) più belli di sempre.
"Feeling the Fear" è il brano (tralasciando l'instrumental) che dura di meno, quindi potete già immaginarvi la velocità d'esecuzione da farvi muovere la testa senza rendervene conto. Ma a questa brutalità, aggiungete qualche riff sulle note alte alla Behemoth: uno spettacolo per le orecchie.
"A Simple Twist of Fate" cerca di restare molto imprevedibile, cambiando spesso tempo e facendo alternare le chitarre di Bernardo e Jorge all'infinito, creando riff veramente  complessi e ben elaborati. Già arrivati a questo punto, ci si rende conto delle gran doti dei musicisti che non perdono di potenza e di lucidità dopo già oltre 20 minuti di estremità a livelli quasi disumani.
"Man Kills, God Too" in questo brano c'è subito da sottolineare la prestazione del vocalist Sérgio, possente e preciso come un orologio svizzero. Poco prima della metà si ha un riff che mi ha lasciato a bocca aperta, accompagnato subito dopo dalla notevole prestazione di Sérgio, che lascia poi spazio al solito assolo che arriva proprio al momento giusto. Fin'ora non posso altro che dire TANTA ROBA per le mie orecchie.
"The Fathers's Sins" anche qui non si può non sottolineare la bestiale prestazione di Sérgio e la mitraglia portata ai massimi livelli da Rolando. Armonici a raffica che precedono un momento in cui ho detto "ecco l'assolo", invece il brano finisce ripetendo più volte lo stesso riff; tanto per sottolineare l'imprevedibilità che possiede questo disco.
Ecco "The Sleeper Must Awake", il brano instrumental che è perfetto arrivati a questo punto, per staccare leggermente la spina. Oltre ad avere questo scopo però, devo dire che è ben fatto con  partiture di chitarra semi-distorta molto intriganti e inquietanti. Ma neanche il tempo di finire la descrizione dell'instrumental, che si riparte in quarta con "Sear Me in a Sea of Snakes" altro brano molto interessante, portato a millemila dagli ottimi strumentisti, che verso la metà (come quasi tutti gli altri i brani) cessa di massacrare e  ti spara un altro grande riff con contenuti armonici, fino all'arrivo dell'ultimo assolo, molto breve in questo caso.
Uh, che roba ragazzi! Ci siamo, è (sfortunatamente) finito e ora tocca ai giudizi. Intanto devo dire che mi è dispiaciuto che sia uscito alla fine del 2012 e non all'inizio del 2013, dato che io l'avrei messo tra i migliori di quest'anno tra i dischi death senza dubbio. Va beh, a parte questo, non smorziamo subito il suo valore, dato che secondo me in questo disco ci sono riff, passaggi, partiture e via dicendo, che potrebbero segnarlo come disco death del decennio. Cioè prendere gli Immolation, i Behemoth e le atmosfere dei Nile e metterle insieme in un unico album death metal! Roba da fantascienza, che i Scent of Death per mia (e spero anche vostra) fortuna hanno fatto. Avanti così ragazzi; ma non fateci aspettare altri 7 anni per il prossimo full-length!
p.s. Ringrazio la band per avermi spedito tutto il materiale necessario.

-Marco




venerdì 4 ottobre 2013

Recite the Raven - Siege Breaker






Year: 2013
Genre: Melodic Deathcore
Label: Independent
Sounds Like: Infant Annihilator, As the monster becomes
Sentence: Little masterpiece (7,5)

In questi anni, in cui il deathcore si sta facendo spazio tra i generi di maggior successo nel metal stanno venendo fuori moltissime promettenti, basti vedere i neonati ma già popolari "Infant Annihilator" che formatosi l'anno scorso han prodotto già un album devastante. Ma oggi non sono qui per parlarvi di quel capolavoro, ma vi parlerò di un gruppo meno conosciuto, i Recite the Raven. Il loro primo lavoro, "Siege Breaker" si presenta veramente bene; ad aprire le danze abbiamo "Diplomatic Immunity" con un intro strumentale dal riffing sincopato e molto potente; l'unica vera canzone deathcore pura infatti è questa dato che gli altri brani propongono un deathcore con pesanti influenze melodiche con tanto di assoli dalla melodia incantevole. La batteria compie un lavoro adeguato al resto della parte strumentale, con alcuni picchi di creatività estrema, ma il punto forte di questo disco secondo me sono le voci, potenti e cattive a tal punto da colpirmi fin da subito nella sua interezza. Quindi questo album si presenta veramente bene, e nonostante proponga un genere alla stregua degli estremi del metal, penso che potrà piacere a molti data l'evidente influenza melodica che si può sentire dopo i primi ascolti. Dato il già citato ottimo lavoro di chitarra e voce posso confermare la mia approvazione verso questo disco, che oltretutto non mi ha mai annoiato durante i ripetuti ascolti; dunque, se volete passare 40 piacevoli minuti di deathcore  melodico, ve lo consiglio vivamente.

-Andrea Facchinello


martedì 1 ottobre 2013

Tribulation - The Formulas Of Death






Year: 2013
Genre: Progressive Death Metal
Label: Invictus Productions
Sounds Like: Necrophobic, Absu
Sentence: The war more totaaaaaaal! (8)

Questo disco è stato una vera rivelazione, un disco ricercato e old school, che suona anche tremendamente nuovo rispetto al melodic death svedese degli ultimi tempi. I Tribulation ci propongono un death metal old school ricco di influenze black e rallentamenti vari. Si parte con il titolo più improbabile e allo stesso tempo ironico per una strumentale: "Vagina Dentata": l'album inizia nel migliore dei modi. Si prosegue con una traccia da headbanging puro e subito dopo, il capolavoro dell'album "Spectres", ricca di riff horrorifici e di passaggi incalzanti. Il disco prosegue con altri pezzi movimentati, intervallati da aperture melodiche e passaggi più progressivi. Finito l'ascolto mi chiedo:  "Avrò assimilato tutto?" Ovviamente no! Allora lo riascolto un'altra volta e un'altra ancora, finché non capisco che la traccia più bella è senza dubbio è la conclusiva "Apparitions": 13 minuti di canzone veramente ben spesi, un piacere da ascoltare. Sperando che la band si faccia ancora sentire e porti nuove idee nel panorama svedese premo nuovamente il tasto "play" per riascoltarmi questo gioiellino.

-Niccolò Silvi