Per l'invio di EP, demo o full-length contattatemi a questo indirizzo: marco-gattini@hotmail.it

venerdì 27 settembre 2013

Empathica - Orchestral Nightmares (EP)






Year: 2013
Genre: Symphonic Darkened Metal
Label: Independent
Sounds Like: Dimmu Borgir, Soulfallen, Dark Tranquillity
Sentence: Good Stuff (6,5)

Ormai, nella nuova scena metal italiana e internazionale, nascono sempre più band death, black o thrash Metal,  forse perché, soprattutto i primi due, sono generi nei quali è più possibile sperimentare, o aggiungere nuovi elementi al sound, ma cosa succederebbe se, in mezzo a tutte queste band estreme, nascesse un gruppo symphonic?
E' il caso dei veronesi Empathica, che debuttano nel 2013 col loro primo ep: "Orchestral Nightmares". Gli Empathica propongono un symphonic metal con elementi provenienti sia dal black che dal death metal, presentando diverse influenze da gruppi come Dimmu Borgir o Dark Tranquillity. Cominciamo subito col dire che il symphonic non è assolutamente un genere facile da suonare, ci vuole non poca abilità per adattare delle sinfonie dal carattere classico a dei riff metal, e non tutti ci riescono, ma non è di sicuro il caso degli Empathica, per un motivo in particolare, che vedremo verso la fine della recensione. L'ep comincia con "Introduction To The End", l'intro strumentale, che fa salire piano piano l'ansia nell'ascoltatore, per poi sfociare in "Sovereign of the Eternal Night", il cui inizio, sinceramente, non mi è piaciuto granché, ma, a parte questo, il brano è buono, ben eseguito e già da qui possiamo capire che gli Empathica sono riusciti ad unire in modo sapiente sinfonia e riff metal, il tutto sorretto da una parte di batteria veramente possente. Tralasciando queste cose, però, mi è sembrato che il brano, specialmente nel ritornello, non riuscisse a coinvolgere, insomma, non mi ha trasmesso gran che. Dopo "Sovereign of the Eternal Night" è il momento di "Spirit of the Blade", forse una delle migliori canzoni del debutto. Questa, al contrario della precedente, ha un ritornello capace di trascinare chi l'ascolta, ogni riff è molto azzeccato e messo al posto giusto e si percepisce una certa emozione ascoltandolo, scaturita più che altro dalla parte sinfonica. Dopo questa è il turno di "Dance of Dead Shapes", che è molto più carica e incazzata della precedente, con il giusto quantitativo di "Feels". Anche questa è una traccia decisamente degna di nota, un parte che ho apprezzato molto è stata sicuramente quel breakdown, dove tutti gli elementi del sound si sono intrecciati perfettamente, con un groove non male. Subito dopo abbiamo "Silent Hill" (proprio la colonna sonora del famosissimo videogioco), una strumentale che potrebbe anche essere bella, carica di emozioni, e melodiosa, se non fosse per quel maledetto riff in tremolo picking che ho trovato abbastanza fastidioso in certi punti. Doveva essere dosato un po' meglio, ma, nonostante questo, è davvero un bel pezzo. Ed ora eccoci al gran finale, la title track: "Orchestral Nightmare". Una canzone molto carica, con la stessa struttura delle precedenti, che comunque riesce ad essere più che godibile, che conclude l'ep in bellezza. Quindi, per riprendere il discorso fatto all'inizio della recensione, possiamo dire che ci sono riusciti, ma (ebbene sì, c'è un "ma") ce l'hanno fatta perché hanno ricalcato ciò che era già stato fatto in passato da band come Dimmu Borgir, Cradle of Filth e Satyricon, insomma, l'originalità non è proprio il punto forte di questo lavoro, ci sono  dei riff leggermente fuori posto, e alcune pecche nella registrazione, ma alla fine è comunque un debutto più che buono che mi lascia ben sperare per un futuro full-length.
p.s. Ringrazio la band per avermi fornito tutto il materiale necessario.

-Alessio




martedì 24 settembre 2013

Watain - The Wild Hunt






Year: 2013
Genre: Black/Thrash Metal
Label: Century Media Records
Sounds like: Bathory, Dissection
Sentence: Beautiful (9)

Se volete indirizzare un amico, un parente o una fidanzata, perché no, verso il freddo ed oscuro mondo del black metal, potreste iniziare con i Watain, sicuramente più accessibili ad orecchie inesperte dei connazionali Dark Funeral o Marduk. Più facilmente accostabili a Dissection e Bathory , i tre di Uppsala incarnano notevolissime influenze thrash nel loro sound, costantemente evolutosi ad ogni album, tanto che i puristi della prima ora dei Watain potrebbero non apprezzare questo nuovo lavoro, così come il precedente “Lawless Darkness”. Night vision da il via all’album, con un sinistro arpeggio al quale poi si aggiungono batteria e chitarre, in un crescendo marziale che sfocia in “De Profundis”, grande cavalcata, molto potente, nella quale si evincono più che mai le influenze thrash/death della band. Molto marziali e lente ”Black flames march” e “All that may bleed”; entrambe non annoiano l’ascoltatore perché sanno accelerare al momento giusto e il lavoro di chitarre e batteria è eccellente. Più melodica “The Child Must Die”, molto old school, sia nel ritmo che nei riff. “They Rode On” è il pezzo che non ti aspetti da una band del genere; una sorpresa, certo, ma una sorpresa positiva secondo il mio parere. Si può definirla una ballad, ma non pensate a Motley Crue o Guns’n’roses, perché qui non stiamo parlando di una bella ragazza (nulla da obiettare); l’epicità la fa da padrona, in un brano che evoca malinconiche atmosfere nordiche. Semplice ma molto bello e coinvolgente il solo centrale, ed azzeccato anche l’intervento della voce femminile negli ultimi istanti della canzone. In “Sleepless evil” la batteria si fa per la prima volta veramente black, nelle parti iniziali e finali, mentre arriva l’ora della title track “The wild hunt”: incedere lento, cori e  voce pulita, bella melodia, un finale a cui non avrei mai pensato, molto  “spagnoleggiante” eseguito con chitarra classica. Si riparte forte con “Outlaw”, riff old school ed accenni di blast beat di una batteria che varia tantissimo in una sola canzone. Ascoltando la parte iniziale di “Ignem Veni Mittere”, pezzo lento e strumentale, viene alla mente "Where Dead Angels Lie" dei Dissection, ad ulteriore conferma delle principali influenze dei Watain. L’ultima (?) traccia dell’album, “Holocaust dawn” è un vero e proprio riassunto di quanto espresso fin ora dalla band: mid tempo, accelerazioni improvvise, blast beat, cori e voce pulita, ma anche scream. Ottima conclusione di un ottimo album, molto orecchiabile e che difficilmente annoia. L’energia non manca, ma i Watain sanno offrire anche qualcosa in più della semplice violenza fine a se stessa, molti riff sono particolarmente azzeccati ed il sound è molto ben curato. Insomma un altro grande album sfornato da un altrettanto grande band, che non può assolutamente sfuggire agli amanti del black e dell'old school.

-Pierluigi Bani





venerdì 20 settembre 2013

Hate Force One – Waves of Destruction






Year: 2013
Genre: Death/ Thrash/Hardcore
Label: Brett Hard Records
Sounds Like: Discharge/Vektor
Sentence: Very bad (5)

Come molti recensori, oltre me, hanno constatato che il thrash negli ultimi anni è stato protagonista di un deciso ritorno agli antichi fasti prevalentemente in ambito underground, con alcuni gruppi storici che ormai riescono a malapena a sfornare album che accontentano ma non lasciano il segno, o altri che ormai hanno ben poco da dire. Ed ecco così band giovani come Sanity's Rage, Commando, Woslom, Havok, Vektor ed altre che emulano il sound della Bay Area degli anni '80 aggiungendoci il più delle volte spunti interessanti ed originali (questo vale sopratutto per gli ultimi due gruppi citati). E' proprio in questo contesto appena descritto che cercano di muoversi gli Hate Force One, quintetto tedesco di Geseke attivo dal 2008, che arriva al traguardo del debutto quest'anno con il loro “Waves of Destruction”. La loro proposta è quella di un death/thrash con spunti hardcore alla Discharge, riuscendo a creare un sound nel complesso personale ed interessante...se non fosse per la moltitudine di difetti che presenta. Primo fra tutti le vocals del cantante Alex Riekotter in stile deathcore, dannatamente simili a quelle di Matt McGachy dei Cryptopsy in “The Unspoken King”, che stonano con il sound del gruppo (se non altro ha evitato la voce in pulito e gli scream); il secondo è una generale mancanza di fantasia nelle composizioni dell'album (su di tutte la traccia Death Roll), che hanno tutte lo stesso solito giro “riff-strofa-ritornello-riff-strofa-ritornello-assolo-riff”; non che sia grave ma mi ha dato parecchio fastidio non sentire almeno una canzone con un elemento distintivo. Altro difetto non trascurabile è la mancanza di pura tecnica: non pretendo mica di sentire un disco in stile Vektor con una miriade di assoli e virtuosismi, però quantomeno uno si aspetta un po' di tecnica...e invece no: molti riff sono facili e anche ripetitivi; un vero peccato, perché canzoni come “The Jocker”, “Modern Warfare” o la title track risultano avere un discreto potenziale di quello che il gruppo sa offrire. Proprio un peccato, mi spiace ma ve lo sconsiglio apertamente.

-Lorenzo Tagliatesta


lunedì 16 settembre 2013

Blood Rapture - Bound to Hate






Year: 2013
Genre: Brutal Death Metal/Grindcore
Label: Independent
Sounds Like: Dying Fetus, Misery Index, Flesh Consumed
Sentence: This aren't flow (6)

Da Puerto Rico ecco i Blood Rapture, che dopo aver rilasciato una demo ed un'ep, ritornano fieri e sicuri di aver guadagnato abbastanza esperienza, con il primo full-length "Bound to Hate": 11 brani all'insegna del brutal death metal più sfrenato e marcio. Oltre ai 5 brani che trovavamo nell'ep e nella demo, vale a dire: "HellGates Awaits", "The Final Decapitation", "Choices", "What You Made Me Become" e "In the Jaws of Death", troviamo altri 6 brani, tra cui uno, "Into the Gates of Suffering" instumental con voci horrorifice; cosa insolita per un album brutal death posizionare questa traccia alla sesta posizione, dato che siamo ormai abituati (e anche stufi) di sentire una traccia come questa come prima posizione, ovvero come intro: mossa azzeccata. Francamente non si sente molta differenza dai brani vecchi a quelli nuovi, dato che il livello di originalità scarseggia in entrambi i casi. Anche se questo non è assolutamente un disco che vuole lasciare il segno o che voglia essere originale, tutt'altro. Questo "Bound to Hate" è il classico disco che, prima di tutto se lo deve sentire uno che sa mangiare merda (in senso buono) e che non è che gli importa tanto di che tipo di merda stiamo parlando; perché solo così lo si potrà apprezzare. Vocal che ricorda a tratti il gutturale di John Gallagher, guitar-playing marcissimo e non troppo pulito nel macinare riff mentre la batteria esegue ritmi serrati e non decolla in blast sfrenati, cosa che mi ha deluso un po', infatti dovremmo accontentarci solo dell'utilizzo di doppio pedale, che fa rimanare tutto sull'old school. Una cosa che non ti aspetti è il finale di "Obliverate the Weak", non vi spoilero niente, andate a sentire, invece una cosa che ti aspetti e che ti fa storcere il naso è l'inizio di "The Final Decapitation" con le fottutissime voci ad aprire. Anche se arrivati a questo punto non possiamo negare che alcune  variazione nel sound ci sono e anche se alcune non sono il top, per spezzare vanno comunque bene. La presenza di filler è scontata, infatti volevano fare un album che durasse più dei 30 minuti classici, inserendo alcuni brani con partiture scontate come "The Final Decapitation", "The Reaper" e "What You Made Me Become", brani che se evitati, nessuno se ne sarebbe accorto. Ultima cosa da dire, che mi è saltata all'occhio in maniera clamorosa, è la fornitura di ritmi thrashy da parte della batteria, che a volte fa sembrare il disco decisamente più thrash che death, se non fosse per la voce. Arrivati alle conclusioni direi che questi portoricani potevano sicuramente fare di meglio, sono uno che è abituato ad ascoltare certe sonorità, quindi non ditemi che è un disco che va apprezzato per la sua grezzaggine e ignoranza, perché si ok è vero, ma elementi come quelli già citati ti fanno riflettere e magari cambiare opinione, anche perché non è che scorra benissimo il tutto. Ultima cosa, per il sounds like NON considerate la batteria, perché altrimenti quest'album assomiglierebbe ad un qualsiasi disco degli Slayer.
p.s. Ringrazio la band per avermi fornito tutto il materiale necessario.

-Marco





venerdì 13 settembre 2013

Cerebral Extinction - Promo 2013






Year: 2013
Genre: Brutal Death Metal
Label: Independent
Sounds Like: Suffocation, Cryptopsy, Wormed
Sentence: Good (7)

Sempre più band death metal e di generi limitrofi, emergono dal paese nostrano, senza tener conto delle difficoltà e del limitatissimo successo che essi possono avere, ma, al contrario emergono per fare musica per pura passione! E ad aggiungersi a questa massa di gente abbiamo i Cerebral Extinction, band formata lo scorso Marzo per volere di Malshum e Shon, (ex chitarrista dei carissimi Blessed Dead) con l'intento di proporre del brutal death metal valido ed interessante: cosa molto molto difficile oggi. Trovato il batterista Dagon, il trio riesce in breve tempo a scrivere i pezzi che formeranno il promo e nei primi giorni di un caldissimo Agosto, lo registrano in un studio privato. Grazie alla grande disponibilità, non  trascurabile, di Davide, bassista degli ormai celebri Cadaveric Crematorium, il trio nostrano riesce a trovare dunque un basso per completare in fase di studio la line up. Ma ora andiamo ad analizzare finalmente questo promo, di due sole canzoni. La prima è "Echoes Aenima", brano di circa 5 minuti, in cui il trio ci mostra subito cosa sa fare e cosa vuole proporci. Non possiamo assolutamente dire che questo brano ha qualcosa di nuovo (come tutto il promo), ma nonostante ciò risulta scorrere in maniera ordinata, con cambi di tempo repentini e una violenza inaudita espressa in maniera esemplare dal trio: batteria a mitraglietta di pattern incessanti, chitarra bassissima che ci propone riff tecnici e slammeggianti davvero ben costruiti (ma del resto da Shon non si potevano aspettare riff elementari) e growl gutturale stile primi Cryptopsy. Il secondo e ultimo brano "Artificial Stimulation" è sempre sulla linea del primo, ovvero con cambi di tempo rapidissimi, brevi parti in cui solo la chitarra prende la scena: insomma il tipico BDM che ormai i titani del genere come Cryptopsy, Suffocation, Dying Fetus ci hanno insegnato a dovere. Come punto di partenza non è male, ma ora aspettiamo ansiosi il prossimo lavoro, dato che il trio è già all'opera per scrivere nuovi brani che formeranno un ep o un full-length: chi vivrà vedrà.
p.s. Ringrazio la band per avermi fornito tutto il materiale necessario.

Marco











lunedì 9 settembre 2013

Born of Osiris - Tomorrow We Die ∆live







Year: 2013
Genre: Progressive Metalcore
Label: Sumerian Records
Sounds Like: Between the Buried and Me, Veil of Maya, Volumes
Sentence: Disappointment (6,5)

2007 - 2009 - 2011 - 2013. Puntualità! I Born of Osiris tornano proprio nel 2013, dove già tutti li stavamo aspettando, con un lavoro un pò diverso dai precedenti: "Tomorrow We Die Alive". Ma prima di analizzare questo disco, vediamo brevemente la discografia dei BOO.

-"The New Reign": troppo corto per definirsi un album.
-"A Higher Place": a tratti risulta noioso e poco convincente, gira e rigira ma alla fine resta lì e non decolla mai.
-"The discovery": troppe tracce che nel complesso spengono l'epicità di altre, ma il loro miglior lavoro fino a quì, senza dubbio.
-"Tomorrow We Die Alive": ?

Già dal titolo molto generico, da tipico album metalcore che non lascia il segno, possiamo brevemente intuire la piattezza dell'album. Ma non voglio essere superficiale, giudicando il libro dalla copertina, per cui andiamo a vedere "Tomorrow We Die Alive" come si mostra nel complesso. L'apertura di "Machine", a tratti spettacolare, già ci mostra la mediocrità dei componenti, che pur essendo ben preparati tecnicamente, non spiccano gli uni sugli altri, ma al contrario fanno sembrare tutto troppo facile. I riff sono complessi e tecnici, ma risultano essere  molli e senza vita; solito "ciuf,ciuf,ciuf" di chitarre che non porta a nulla. Il drumming è rigido e quasi mai sporge, il synth invece, probabilmente la parte forte del team, ci regala alcuni assoli e parti atmosferiche molto melodiche. Lasciamo stare poi le outro borderline-dubstep, quasi imbarazzanti a tratti (esempio che i BOO stanno osando troppo). La gente chiamava questo disco prima che uscisse "Discovery 2", e vedendo la strumentalizzazione possiamo anche affermare questa premonizione. Altro problema da non sottovalutare è la monotonia del vocalist e i ganci mancanti, che non ti fanno rimanere in testa nessuna di queste 11 tracce, al contrario degli album precedenti devo dire. La canzone è troppo blanda da ricordare (ad esempio: Mindful), il gancio è semplicemente terribile (Divergency), o il gancio è talmente martellato da stufare l'ascoltatore (Machine). La quarta traccia "Exhilarate" segue sempre la stessa forma: intro melodico di synth, seguito da riff di chitarra sempre simili tra loro, accompagnato da un vocalist urlante. Adesso ditemi come si fanno a memorizzare certe canzoni! Ascoltatelo anche 300 volte, ma non vi ricorderete MAI come fa una canzone rispetto ad un'altra (cosa positiva solitamente, ma in questo caso NO!). Ma non siamo troppo cattivi ed andiamo a tirare fuori il bello da questo album, perché qualcosa da non tralasciare c'è. "Illusionist" è una traccia strepitosa con un riff melodico che ti rimane in testa (ok allora qualcosa di indelebile forse c'è) e con le sezioni strumentali verso la fine che lo rendono il miglior episodio del disco, senza alcun dubbio. Un'altra traccia che cito con fierezza è "Vengance", traccia memorabile con le migliori ripartizioni di tutto l'album. Il resto è un mosciume di riff e synth, ripetuti a manetta fino allo sfinimento, che non valgono neanche l'ascolto. Che dire, sono rimasto molto deluso...pensavo veramente che i BOO finalmente avrebbero sfornato un disco da ricordare, ed invece non è esattamente così. Canzoni che a malapena si distinguono dalle altre, snervante suond della chitarra assolutamente privo di vita. Avessero lavorato più con le ripartizioni, con il synth e con la progressione forse, non stavamo qui a parlare in questo modo. Tuttavia i BOO rimangono un gruppo che sa distinguersi nettamente dagli altri gruppi metalcore ed anche in questo "Tomorrow We Die Alive", ci sono riusciti, ma non come me lo aspettavo. O forse sono io che pretendo troppo, ma vedevo nei BOO del vero talento e invece devo rassegnarmi e metterli nella categoria delle band mediocri. Fatto sta che se si prendono più di 2 anni per fare il prossimo album, non è che finisce il mondo.

-Marco


lunedì 2 settembre 2013

Polyphia - Inspire (EP)






Year: 2013
Genre: Progressive Metal
Label: Independent
Sounds Like: Intervals
Sentence: The epic sound (8)

Pur essendo effimera per natura, la Moda sembra a volte avere il potere di riportare in auge interi movimenti dati ormai per obsoleti o addirittura definitivamente scomparsi. Per quanto riguarda il nostro genere preferito (c'e' forse il bisogno di dire quale?) tutti si ricordano i tenebrosi primi anni '90, caratterizzati da una letterale egemonia del grunge che mando' in crisi nera anche formazioni a dir poco storiche, se non intero genere: fu poi grazie alla rivoluzione del cosiddetto Nu Metal e alle vendite milionarie di Korn, Limp Bizkit e Slipknot che la frittata si capovolse definitivamente. Negli ultimi anni si può dire sia successo un qualcosa di molto simile grazie all'apporto di un gruppo ormai a dir poco seminale come i Meshuggah, creatori (per così' dire) di un sound talmente originale e rivoluzionario per cui e' stato coniato un genere a se' stante, il cosiddetto Djent, rappresentato oltre che dalla solita schiera di veri e propri cloni anche da realtà' molto interessanti come Animals as Leaders, Tesseract e Periphery. Ed e' proprio a queste formazioni che si ispirano i Polyphia, giovanissimo combo proveniente dal Texas, USA, fautore di un Progressive Metal che bilancia in maniera molto interessante aggressività e melodia. "Inspire", il nome di questo ep di debutto, contiene solo 5 tracce di musica totalmente strumentale ma che riesce a trasmettere freschezza e caparbietà, grazie a una notevole tecnica di base per dei ragazzi appena ventenni, perfettamente a loro agio sia con i loro strumenti che con i mezzi di comunicazione odierni; non a caso, l'intero ep e' disponibile in streaming gratis su Youtube assieme a diversi videoclip in cui la band mette in mostra tutte le proprie doti. A confermare le potenzialità della formazione, non mancano le guest d'eccezione, in questo caso un bellissimo assolo di Aaron Marshall, principale frontman e chitarrista dei Canadesi Intervals, in "Persevere", una delle canzoni di punta del disco.  I pochi difetti, tra cui l'eccessiva rassomiglianza a livello armonico di tutti i pezzi, sono sicuramente appurabili alla giovanissima eta' dei componenti del gruppo, lati che sicuramente verranno smussati con un esperienza che sicuramente non verrà a mancare. Concludendo, i Polyphia hanno tutte le carte in regola per diventare una solida realtà nel panorama djent/progressive metal mondiale.

-Edoardo Casini