Per l'invio di EP, demo o full-length contattatemi a questo indirizzo: marco-gattini@hotmail.it

domenica 29 dicembre 2013

Amon Amarth - Deceiver Of The Gods






Year: 2013
Genre: Melodic Death Metal
Label: Metal Blade Records
Sounds Like: Amon Amarth
Sentence: Odin would be proud! (7,5)

"Asgård's always been my home
But I'm of different blood
I will overthrow the throne Deceiver!
Deceiver of the gods!"

Queste le parole che urlano i figli di Odino nella title track del loro nuovo e devastante album: Deceiver of The Gods. Sono passati solamente 2 anni da Surtur Rising, eppure i nostri vichinghi svedesi sono tornati con la stessa carica e con un altro ottimo disco.

Le tracce di questo nuovo lavoro sono in puro stile Amon Amarth: riff massicci e corposi, melodie mozzafiato e il ruggito di Johan Hegg che è proprio come il buon vino, invecchiando migliora! Gli assoli, invece, come al solito, sono pochi, ma ben studiati e di grande impatto. Per il resto non ci sono grandi novità per quanto riguarda il songwriting, la formula è sempre la stessa a cui ci hanno abituato i nostri vichinghi da quasi 20 anni e, nonostante il tempo, continua ad emozionare e a colpire l'ascoltatore.

Per quanto riguarda le singole canzoni, sono tutte belle e degne di nota, ma le migliori sono sicuramente: "As Loke Falls", la cui intro è a dir poco da "rasponi a du mani" ( come direbbe il buon Dario Moccia ), una canzone veramente possente ed emozionante allo stesso tempo, con melodie che colpiscono direttamente al cuore come solo gli Amon Amarth sanno fare; la successiva "Father of the Wolf", con un intro vagamente roccheggiante e con dei riff altrettanto emozionanti e cazzuti allo stesso tempo. Ora però io mi trovo in difficoltà ragazzuoli ... e vi starete chiedendo: "e come mai?" Beh, da questa canzone in poi le altre mi sono piaciute praticamente TUTTE, sono una meglio dell'altra, tracks come "Shape Shifter", "Blood Eagle", "Under Siege", "We Shall Destroy" ( una delle più belle, anche da suonare ) ... L'unica che mi ha fatto storcere il naso è stata "Hel", ovvero la traccia  dove fa la sua comparsa Messiah Marcolin, il vecchio cantante dei Candlemass. Ora chiariamoci, non è la canzone in sé a non essermi piaciuta ( anche perché il guitar work è praticamente perfetto anche qua ), ma la combinazione fra la voce di Hegg e quella di Marcolin, infatti, secondo me, doveva essere studiata meglio. A parte questo, anche le ultime canzoni, "Coming of the Tide" e "Warriors of the North", sono a dir poco ottime, esattamente come le precedenti.

Quindi, questo album non mi ha deluso per nulla, anzi! E' veramente un ottimo disco, che, tuttavia, ha un difetto per il quale non posso dargli 8 ... Credo che lo sappiate tutti, il problema di questo album ( come per tutti gli altri degli Amon Amarth ) è la mancanza di originalità, appunto perché le canzoni, benché siano stupende, hanno una struttura praticamente uguale, con dei riff e delle melodie che sembrano già sentite. Ma alla fine, tralasciando questo difetto, il disco è bellissimo e molto piacevole da ascoltare, lo consiglio caldamente a tutti  coloro che hanno un animo vichingo e che, ovviamente, sono fan di questo gruppo.

-Alessio






lunedì 23 dicembre 2013

Unhuman – Unhuman






Year: 2013
Genre: Technical Death Metal
Label: indipendent
Sounds Like: Cryptopsy
Sentence: Douces Pensèes (9,0)

Ammettiamolo: ognuno di noi che ha almeno ascoltato una volta nella vita i Cryptopsy non può non essere rimasto sconvolto dal livello di violenza e di cattiveria che permea quasi ogni tassello della discografia del quintetto canadese (in particolare quelli con Lord Worm al microfono). Un tipo di brutalità che capita raramente e che risulta difficilissima da realizzare facendo comunque in modo di risultare credibili e senza fare in modo che snaturi il sound di un gruppo rendendolo inascoltabile e pretenzioso di stupire. Ma tornando ai Cryptopsy, tra i loro progetti collegati (Neuraxis, Mythosis, Rage Nucléaire,  Nader Sadek,...) ce n'era uno in particolare che mi incuriosiva da qualche tempo: gli Unhuman. Questa band, guidata dall'attuale secondo chitarrista (solo in sede live) dei Cryptopsy, Youri Raymond, è attiva fin dal lontano 1995 ma nella sua carriera ha rilasciato solamente due demo, “Too Drunk for Nothing” (1999) e “Individual Timeless Reality” (2001) prima di far perdere le tracce col passare del tempo.... Almeno fino a quest'anno, quando lo stesso Raymond dichiarò di essere entrato in sala registrazione per realizzare il  debutto ufficiale, l'omonimo “Unhuman”, rilasciato il 27 ottobre in forma indipendente e mixato da Christian Donaldson (attuale chitarrista fisso dei Cryptopsy; coincidenze?). Mentre attendevo un qualche possibile download per l'album continuava a domandarmi se la mia attesa e la mia curiosità fossero stati ripagati con un bel album in grado di stupirmi e di ritenermi davvero soddisfatto. Vi posso assicurare che “Unhuman” ha fatto questo ed altro, a tal punto che lo considero il disco Technical Death Metal dell'anno (facendomi togliere dal piedistallo l'ottimo “Portals to Caanan” dei Deeds of Flesh) ed in grado di stupirmi in questo affollato 2013 che vede una marea di buoni album che però risultato quasi scontati se non uguali tra loro. Nella line-up della band, oltre a Raymond nel duplice ruolo di chitarrista/ cantante, troviamo nientemeno che Kevin Chartré alla seconda chitarra (attivo anche con Beyond Creation e Brought by Pain), il che fa già intuire come sarà il sound degli Unhuman.  Ok, se qualcuno qui pensa “E vabbè, allora saranno la copia sputata dei Beyond!” sta sbagliando malissimo: basta solo ascoltare l'iniziale “Chaotic Equilibrium” per capire come il quartetto sia personale nel sound al 100% senza copiare nessuno. La traccia è velocissima, soffocante, pieni di cambi di tempi ai limiti della follia e con una quantità colossale di riff e fraseggi da far venire la pelle d'oca. La ritmica (su cui opera la batteria di Alex Dupras e il basso a 7 corde di Matt Bérubé) è affilata e potentissima, ma quello che lascia davvero allibiti è la performance vocale di Raymond, che oltre ad un growl/scream d'impatto (quest'ultimo che più di una volta supera una decina di secondi) infarcisce il cantato con una serie di grugniti gutturali, acuti e inhale (senza toccare territori Slam Death o simili) che lo rendono macabro e malato, senza comunque intaccare più di tanto la scorrevolezza dell'ascolto. Probabilmente avrà preso lezioni di canto da Lord Worm, ma non ne sono sicuro....oltre alla già citata “Chaotic Equilibrium”, gli altri pezzi assolutamente consigliati sono “Douces Péenses”, la strumentale “[in]Human Being” (probabilmente la traccia più tecnica dell'album), la più melodica “Hallucinogenic Symphonia Delirium”, i saliscendi ritmici di “Once Again” e la mistica “Individual Timelesses Reality” (recuperata dal demo precedente insieme a “Psychotic Afterlife” e ri-registrate nuovamente), anche se tutto l'album riesce a stupire in più di un'occasione. I (pochi) difetti riscontrati nell'ascolto sono un eccessivo sforzo vocale da parte di Raymond: in un paio di volte ho notato come alcuni acuti e screaming fossero sforzati, il che li ha resi un po' fastidiosi, senza comunque portarlo a stonare con il resto delle canzoni o cose così. Altro neo che sento di sottolineare è il fatto di come la ritmica di Dupras e Bérubé, per quanto precisa e potente, sia in certi frangenti poco fantasiosa e priva di vere e proprie parti soliste (in particolare mi aspettavo di sentire più fraseggi di basso o un paio di assoli, anche perché Matt è un bassista che non ha assolutamente nulla da invidiare ad altri come Jeff Hughell o Mike Flores). In sintesi: 48 minuti di Technical Death Metal crudo, spietato, elaborato come pochi e condito con una cattiveria inaudita, senza dubbio ereditata dai padrini Cryptopsy ma rielaborata in maniera totalmente personale stupefacente. Assolutamente imperdibile!

-Lorenzo Tagliatesta


giovedì 19 dicembre 2013

Gorguts - Colored Sands






Year: 2013
Label: Season Of Mist
Genere: Technical Death Metal
Sounds Like: /
Sentence: Enormous (9)

Dopo l'uscita dello spettacolare "From Wisdom to Hate", dodici anni fa, nessuno pensava in un ritorno sulle scene dei mitici Gorguts, band ormai di culto nel panorama death metal, frutto della geniale mente di Luc Lemay, visionario e geniale mastermind della band, che per questa uscita recluta: Colin Marston (Behold The Arctopus, Dysrhythmia, Krallice) al basso, John Longstreth (Origin) alla batteria e Kevin Hufnagel (Dysrhythmia, Vaura) alla seconda chitarra. Se abbiamo amato la malata atmosfera di "Obscura" o di "From Wisdom to Hate", con il nuovo "Colored Sands" troviamo pane per i nostri denti fin dalla prima spettacolare traccia, "Le Toit Du Monde", che mette subito in chiaro la linea dell'album, in cui freddezza magnetica e atmosfere claustrofobiche la fanno da padrone. Subito dopo, "Ocean of Wisdom" un altro pezzo molto interessante e accattivante, in cui il combo non fatica a mettere in luce le proprie abilità tecniche; splendido il riff di apertura. Ora mi soffermerò un po di più su quello che è il mio pezzo preferito del disco e, tra l'altro, il singolo di lancio dell'album ovvero "Forgotten Arrows", esagerata in tutto. Melodie e riff mastodontici sono inseriti perfettamente nel pezzo e il growl animalesco di Lemay non lascia scampo a nessuno. Basso e batteria creano un portentoso muro ritmico e le chitarre danno vita ad atmosfere glaciali, che terminano in un finale inaspettato ma gradevolissimo tutto di synth. La title track è un altra canzone che difficilmente dimenticherò, dall'intro cupo e magnetico che sfocia in quello che è, a mio parere il miglior riff del disco. "Battle of Chamdo" è un intermezzo molto interessante, anche questo, completamente suonato al synth. Subito dopo riprendono le bordate come "Enemies Of Compassion" e "Ember's Voice", che tengono altissimo il livello di adrenalina. Molto ricercata e notevole è anche l'avvincente "Absconders", un mid-tempo ricco di particolari, da ascoltare un'infinità di volte. La conclusione del disco è lasciata a "Reduced to Silence" un altro pezzo in equilibrio tra parti brutali e parti melodiche.

A mio modestissimo parere, questo disco è il migliore uscito quest'anno: volevamo un capolavoro?  I maestri ce l'hanno sfornato, mostrandoci che anche le band "anziane" hanno ancora la capacità di fare scuola e far scatenare tutti coloro che avranno il coraggio di affrontare "Colored Sands".

-Niccolò Silvi






giovedì 12 dicembre 2013

Behold the Desecration - Omnipresent Putrefaction






Year: 2013
Genre: Technical Death Metal/Deathcore
Label: Independent
Sounds Like: Signal the Firing Squad, Acrania, Archspire
Sentence: Sweeps away all (8)

Ormai siamo abituati a vedere gente che va oltre se stessa suonando, mostrando tutto i tecnicismi imparati in lunghi anni di allenamento. E questo è anche il caso dei Behold the Desecration, band americana all'esordio con questo "Omnipresent Putrefaction", un full-length che mostra diverse influenze di generi estremi tra cui technical death metal e deathcore. Genere che ho conosciuto grazie ai, ormai sciolti a mio malincuore, Signal the Firing Squad; anche se il loro era più un technical deathcore e di death aveva ben poco. Vediamo dunque se quest'album d'esordio, anche se lo considererei più un ep per la durata (22 minuti circa), merita un posto tra i miglior dischi di questo anno ormai giunto alla fine. Partiamo dalla malatissima title track nonché intro: gargarismi in stato di vita o di morte. Andando avanti possiamo assaporare manciate di riff intricati (ma non per questo difficili da capire) esuper tecnici a tale velocità da uscire dagli spartiti; alcuni assoli molto brevi (fortunatamente), acceni di breakdown (come possono mancare?) e sweep picking tamarrissimi e catchy, come in "Plaguebearer". Nel complesso le canzoni hanno una struttura ben precisa e le tracce si susseguono in maniera efficace e mai straziante; la voce alterna un growl basso ad accenni di scream striduli e taglienti. Le lyrics sono incentrate tutte bene o male sull'odio verso la razza umana; e voi  direte che è un classico. Sì lo è, ma sottolineerei come sono stati scritti: davvero molto bene, usando frasi e termini significativi e che ti entrano in testa. "Follow the Path" è la classica traccia che non ti aspetti, strumentale molto lenta e malinconica, ma che ultimamente stiamo trovando spesso in album d questo genere. La successiva "Cognizant Gates", che reputo la migliore dell'album, riprende la botta che la traccia strumentale ti aveva magari fatto perdere e ti regala 2.33 minuti di pura violenza verso le nostre povere orecchie, che però dopo ringraziano; assolo da viaggi mentali con sweep che ti fa salire e scendere nel planisfero: provare per credere. Si prosegue con "Oracle's Commandment", ottima per continuare ad essere massacrato e umiliato dalla componente tecnica dei musicisti. E proprio quando ti sei messo l'anima in pace riguardo quest'ultima cosa, arriva un elemento che ancora non avevamo sentito, ma che ci sta da DIO ormai in album tech death, ovvero l'intro di basso a precedere un riff tecnico quanto distruttivo, ma soprattutto che funziona. Parliamo delle traccia "12" (è il titolo non il numero), che non è solo questo, ma al contrario mi sentirei di metterla tra le migliori riuscite di questo "Omnipresent Putrefaction", con l'assolo però, senza dubbio migliore dell'intero full. Da come potrete ben notare, non ho citato le prime tracce perché secondo me sono un po' il punto debole, ma al contrario, passata la strumentale "Follow the Path" il disco prende una piega da  capolavoro, ma non lo sarà ovviamente per l'inizio non molto convincente. Beh c'è anche da dire che se questo fosse stato un album preceduto da ep/demo ecc. magari il giudizio non poteva essere a livelli alti; ma essendo l'esordio nel vero senso della parola, mi sento di essere buono e alzare il voto; perché parliamoci chiaro, quanti gruppi oggi riescono ad esordire con un full-length avendo già le idee chiare e senza presentarsi leggermente in confusione dovuta all'inesperienza? Gli Archspire l'avevano già fatto nel 2011, ma nonostante ciò tanto di cappello ai Behold the Desecration.
Buona la prima.

-Marco









lunedì 9 dicembre 2013

Eat A Helicopter - Evolution Of Violence






Year: 2013
Genre: Deathcore
Label: Independent
Sounds Like: Oceano, Lament, Ethereality
Sentence: Sick release (7,5)

Eat a Helicopter. 
Solo il nome preannuncia un qualcosa di altamente pesante dal punto di vista  musicale, e infatti quello di cui andremo a parlare oggi è un album deathcore con i cosiddetti! "Evolution of Violence" è il primo full-length del gruppo, che anche grazie al supporto di alcuni siti a cui è piaciuto il loro lavoro, sta ottenendo una piccola fetta di fama nell'immensa zona deathcore.  Ascoltando questo disco ci troveremo davanti un complesso ma veramente massiccio arsenale composto da un riffing chitarristico violento e molto suggestivo. C'è da precisare ovviamente che siamo immersi nel panorama deathcore quindi non mancano i breakdown che se posti nel punto giusto in una canzone risultano adatti e perfetti, come nel caso di questo disco.  La prima traccia "Feign Kingdom" è quella che preferisco, quella che ho ascoltato più volte, soprattutto per la longevità del lavoro chitarristico che mi ha intrattenuto ed entusiasmato per tutti i (purtroppo pochi) 3 minuti e mezzo di canzone. Ovviamente non c'è bisogno di sottolineare la possenza della voce che in un genere come il deathcore o è potente o va subito scartata, ovviamente qua ci troviamo nel primo caso, dato che potrete sentire subito come il cantante abbia compiuto un ottimo lavoro.
Come ho già detto questo è un ottimo disco che spero lancerà la band, come essa merita, in mezzo al pattume degli ultimi anni, dove trovare roba innovativa e non scopiaticci quà e là, è sempre più raro.

-Andrea Facchinello




venerdì 6 dicembre 2013

Deicide - In the Minds of Evil







Year: 2013
Genre: Death Metal
Label: Century Media Records
Sounds Like: Decapitated,
Sentence: Return to the old style (6,5)

I Deicide per cercare di tornare sulla scena death mondiale decidono di farlo, puntando prima di tutto su una title track molto orecchiabile e catchy che già fa intuire la malvagità che ci aspetta ascoltando tutto questo "In the Minds of Evil". Con l'ennesimo allontanamento di Santolla, i Deicide hanno perso le influenze melodiche di esperimenti come "To Hell With God", puntando totalmente su riff groove ed eliminando quasi totalmente gli assoli (anche se presenti lo stesso, soprattutto abusati dell'uso della leva). Ottimo lavoro da parte di Steve alla batteria e Kevin alla chitarra, dato che questo disco risulta veramente degno dei primi Deicide, ovvero ai tempi di "Legion" per capirci. Salta subito all'occhio anche la copertina di questo "In the Minds of Evil", non più a richiamare la parte satanista di Benton, ma al contrario qualcosa di più terreno, non a caso la title track parla di assassini psicopatici. Cambiamento, se si può chiamare così, che funziona a mio avviso; è inutile continuare a scrivere testi satanici nel 2013! Che dire dunque, se come me eravate rimasti delusi da "To Hell With God", dovete assolutamente ascoltarvi questo decimo parto, di una delle band più criticate ma nonostante ciò fondamentali nell'ambito del death metal. Son tornati ad attaccare come sapevano fare, non è un disco memorabile, perché nel complesso di "nuovo" non c'è praticamente nulla; riff d'impatto sì, ma niente che le nostre orecchie non abbiano ancora sentito. Ma del resto dai Nostri non potevamo chiedere di più che quello che hanno fatto. Son soddisfatto dunque che il quartetto americano sia tornato a fare DEATH METAL classico, senza cercare sperimentazioni che nella maggior parte dei casi portano a delusioni che ti fanno mettere in dubbio una carriera di trent'anni.

-Marco




domenica 1 dicembre 2013

Oceano - Incisions






Year: 2013
Genre: Deathcore
Label: Earache Records
Sounds Like: Infant Annihilator, Lament
Sentence: Brainblowing! (7,5)

Oceano, una delle realtà del metal estremo che sta diventando sempre più famosa (meritatamente, non c'è bisogno di dirlo) grazie ai suoi lavori sempre al limite tra il godimento e la cacofonia (il fatto che siano sotto contratto con la Earache records la dice lunga). Oggi parleremo del terzo disco di questo gruppo, uscito il primo ottobre 2013, ovvero Incisions. Il singolo rilasciato mesi prima dell'uscita aveva preannunciato un ritorno in grande stile per la band, che si fa spazio nella scena con un brano violentissimo, che tra parti dissonanti, breakdown spaccaossa e veri e propri ruggiti da parte del cantante preannuncia un album che sembra epocale. Senza indugiare analizziamo questo lavoro che rientra senza indugio nella lista dei migliori 10 album usciti nel 2013 (almeno dal canto mio).

Parlando di chitarre, il riffing risulta come un vero e proprio schiacciasassi: prepotente e deciso in canzoni come "Slow Murder" mentre in canzoni come  "Slave of Corporotocracy" risulta veloce e quasi divertente. Tutto il disco è possiamo dire, costellato da breakdown, di cui il 90% sono azzeccatissimi e messi proprio dove dovevano andare; sono infatti pochissimi quelli che almeno io ho reputato inutili dal punto di vista della totalità e della posizione. Una traccia che mi è piaciuta molto dal punto di vista chitarristico è la inquietantissima "Internal War" che si presenta con voci sussurrate per poi sfumare in quella che sarà l'intro vera e propria della canzone,  ovviamente pezzaccio deathcore che non delude. La batteria merita un capitolo a parte, dato che poche volte ho sentito  un lavoro in cui la batteria sia talmente legata alla chitarra, senza mai risultarne inferiore, il nostro caro Daniel Terchin quindi ha compiuto il suo lavoro maestosamente.
Ora arriva il punto che credo tutti aspettavate, Adam Warren, l'anima malvagia che sta dietro alle voci del gruppo. Ogni volta che sento una canzone degli  Oceano so che devo prepararmi al suo ruggito, e in questo album secondo me risulta migliorato moltissimo rispetto ai precedenti lavori, e in canzoni come "Self Exploited Whore" lo dimostra perfettamente; il nostro amico di colore infatti ha una voce particolarissima, unica, che lascia basito l'ascoltatore ad ogni canzone, come fosse la prima volta!
Detto questo, nel complesso tutto il disco risulta un ottimo lavoro deathcore che si regge in piedi fieramente, l'unica pecca come ho già detto è la ridondanza di alcuni breakdown che abbassa di qualche punto il risultato finale, nonostante questo però "Incisions" per me rimane uno dei migliori dischi deathcore dell'anno e come ho già detto rimarrà nella top 10 degli album di quest'anno, insomma, se siete fan di band come Infant Annihilator, Suicide Silence o altri gruppi limiitrofi, questo cd non deve mancare nella vostra lista di ascolti.

-Andrea Facchinello






venerdì 29 novembre 2013

Blood Red Throne – Brutalitarian Regime






Year: 2011
Genre: Death Metal
Label: Sevared Records
Sound like: Deicide
Sentence: Good job (7,5)

Affermatisi dal 2001 con l'esordio “Monument of Death”, i Blood Red Throne sono una delle realtà più importanti del death metal made in Europa, in quella Norvegia dove a regnare incontrastato è quasi sempre stato solo il black metal. Il quintetto, capitanato alla grande dal chitarrista Daniel “Dod” Olaisen, nonostante i numerosi cambi di line-up è sempre riuscito nell'intento di creare un buon death metal classico, sempre di chiara ispirazione a quello oltreoceano, pesante e compatto, senza mai cedere alle tentazioni di rinnovamento. “Brutalitarian Regime”, attualmente il penultimo lavoro in studio e forte di una formazione solida in cui spiccano Erlend Caspersen al basso (attualmente negli Spawn of Possession) e Emil Wiksten alla batteria (entrato negli Aeon quest'anno). Si rivela un disco complessivamente buono e piacevole da sentire, penalizzato solo principalmente da una produzione un po' debole e dal fatto di come tutte le tracce fossero forse troppo lineari, rendendo il disco di una compattezza micidiale ma senza far emergere una traccia particolare rispetto alle altre. Da qui mi risulta quasi difficile fare una recensione “track for track” dei vari pezzi, perché alla fin fine mi ritroverei a dire le stesse identiche cose: di certo però tracce come “Games of Humiliation”, “Melena”, la title track e “The Burning” sono ottime canzoni death metal in grado di intrattenere coloro che pretendo di più, come il sottoscritto, in fatto di sonorità estreme. In sintesi, quaranta minuti di puro death metal fatto bene e godibilissimo da ascoltare, che risulta sì classico nella forma ma personale nella sostanza, seppur non esente da qualche magagna.

-Lorenzo Tagliatesta



martedì 26 novembre 2013

Cold cold ground - Lies About Ourselves





Year: 2013
Genre: Industrial Metal/Rock
Label: Osasto-A Records
Sounds Like: Turmion Katilot, Static-X
Sentence: Finnish people rules (8)

E' da tanto che aspetto questo album, sono passati due anni dall'uscita del singolo che ha preannunciato questo album e l'attesa è stata ripagata molto bene! Si sa che i finlandesi sono dei grandi musicisti, e anche nel campo di industrial metal fanno letteralmente vergognare altri del genere, con sound (soprattutto delleparti elettroniche) particolari, riconoscibili subito; band capostipiti di questo genere in finlandia sono i Turmion katilot, i Fear of Domination e i meno conosciuti Cold Cold Ground. Parleremo appunto dell'ultimo lavoro di quest'ultimo gruppo, il cui ultimo LP risale al 2010.  Oggi parleremo di "Lies About Ourselves" uscita freschissima per il gruppo che modifica tantissimo il proprio suono rispetto al precedente "This side of Depravity" infatti l'elettronica non fa più solo da accompagnamento in questo disco, ma diventa proprio un pilastro del tutto, il cuore pulsante del suono. Il comparto ritmico è gestito alla grande da un batterista che reputo tra i migliori presenti sulla scena industrial metal, soprattutto per canzoni come "Cocain in My Ass" o "Model Citizen" che mi hanno fatto letteralmente amare queston disco! Le chitarre risultano molto varie, in modo da non sembrare suonate solo per industrial metal, ma in canzoni come "Welcome to Hell" possiamo sentire un sound veramente vario che rende il tutto quasi matematicamente perfetto.

Nel complesso tutto questo lavoro risulta molto ben organizzato e supera di gran lunga le mie aspettative, che si erano dissipate durante la lunga attesa di 3 anni, se siete amanti del genere come me è un album altamente consigliato se invece vi volete avvicinare al genere vi consiglio le mie due tracce preferite di questo disco ovvero "Model Citizen" e "Lies About Ourselves" che mi hanno regalato 8 minuti di puro industrial nella sua forma migliore. Ottimo lavoro, si sa in fondo che difficilmente i finlandesi deludono!

-Andrea Facchinello



venerdì 22 novembre 2013

Peste Noire - Peste Noire






Year: 2013
Genre: Black Metal/Medieval Metal
Label: La Mesnie Herlequin
Sounds Like: Autarcie
Sentence: (8)

Buon quinto studio album per il terzetto di Avignone, ancora una volta uscito per l’etichetta fondata proprio dalla mente del gruppo: il chitarrista e cantante La Sale Femine De Valfunde. È anche grazie a questo che la band può più o meno infischiarsene di seguire gli stilemi del genere black, senza infastidire nessuno, tranne quanti fra gli ascoltatori proprio non digeriscono l’introduzione di elementi folk nel black metal; è proprio così: ascoltare l’album è come fare la conoscenza dei membri del gruppo, il già citato La Sale Femine De Valfunde (voce, chitarra, basso e armonica), Sainte Audrey-Yolande de la Molterge (voce pulita, piano ed Hammond) e Ardraos (batteria e fisarmonica) e girovagare con loro per circa tre quarti d’ora, sufficienti a comprendere come l’apparente caos generato da accostamenti particolari come fisarmonica - black metal generi invece un amalgama tutto sommato niente male. Niente musica elettronica o Ska, come succedeva invece nel precedente “L’ordure à l’état pure”, ma, oltre alla fisarmonica, che compare già sul finire della prima traccia, affascinante manifesto programmatico con il discorso in francese che dona severità ed importanza a “Le retour de la peste” , possiamo ascoltare la gironda, curioso strumento di origine medioevale che nel suono ricorda il violino e nel quale le corde vengono strofinate da un disco messo in moto da una manovella, mentre una seconda melodia viene fuori da una specie di tastiera. “Demonarque” mostra l’animo più black della band, condito da un sano blast beat iniziale e comunque da una batteria violenta e complessa, ma anche qui l’animo folk si fa sentire, con fisarmonica, chitarra classica, flauto, gironda, senza dimenticare la voce pulita di Sainte Audrey - Yolande De la Molterge. Molto bella “La Bêche et l’epée - contre l’usurier, probabilmente la canzone più metal dell’album, e sicuramente una delle migliori, che vede nel finale la ricomparsa del parlato/manifesto. “Niquez vos villes” inizia in modo più “rockeggiante”, per poi appesantirsi con un cantato vagamente “rap” e “deliziarci” con una sorta di corno da caccia distorto, ed infine rendersi ancora più pesante, nella musica e nel cantato, più cupo e growl. Un po’ meno coinvolgente, a mio parere, “Le clebs noir - De Pontigibaud”, mentre si riparte molto bene con l’ultima parte dell’album: “Ode” e le sue parti acustiche e l’inframezzo di gironda, “La blonde”, poco black metal, ma ormai ci siamo abituati allo stile dei Peste Noire e possiamo apprezzarla, e la conclusiva “Moins Trente -Degrés Celsius”, triste finale, che ci vede salutare la band per tornarcene a casa, sicuramente arricchiti da questa esperienza e con la mente più aperta.

-Pierluigi Bani


lunedì 18 novembre 2013

A Lot Like Birds - No Place






Year: 2013
Genre: Post-Hardcore/Progressive
Label: Equal Vision Records
Sounds Like: Dance Gavin Dance
Sentence: Magnificent (9,5)

Prima di mettere le mani in maniera seria, su questo "No Place", ho deciso di riascoltarmi tutta la discografia dei A Lot Like Birds, così da comprendere in maniera più evidente le differenze e le evoluzioni dell'attuale sestetto californiano. Gli A Lot Like Birds pubblicarono il loro album di debutto, "Plan B", nel 2009, un disco con molteplici influenze, tra cui pop-punk, post-rock, jazz e già la band in questione ci aveva lasciati a bocca aperta, sapendo mischiare questi generi in maniera ineguagliabile. Appena tre anni dopo, rieccoli con "Conversation Piece", un lavoro completamente diverso dal precedente, dove come novità principale troviamo l'aggiunta di un nuovo vocalist, il cambiamento che li porta ad avere molti più elementi post hardcore e una maturazione complessiva da parte di tutti i componenti. Per non parlare dei testi che sono niente di meno che poesia, pura poesia. Ed eccoci oggi, 2013, pronti a descrivere il loro terzo tassello di una carriera, fino ad ora pressoché perfetta. Tengo a precisare che questo è un disco che non ha canzoni che spiccano l'una sull'altra, ma è il classico concept album che va ascoltato tutto d'un fiato più e più volte. "No Place" raggiunge senza dubbio la parte più sperimentale utilizzata fin'ora, ma nonostante ciò conserva il suo marchio di fabbrica più conosciuto, ovvero gli accumuli di post-rock tramandati da effetti regolati in maniera maniacale da ottenere un suono stratificato che possano esprimere il loro concetto di musica nella maniera più chiara possibile. Ogni crescendo si mette in luce grazie alle forti chitarre riverbanti e la sempre più crescente voce aspra di Cory Lockwood, mentre il bassista Michael Littlefield aggiunge profondità e il il chitarrista Joe Arlington motivi le chitarra in maniera da farla parlare da sola. Per far capire ancora meglio, come non sia un disco da brani che spiccano, possiamo prendere il singolo "Kuroi Ledge", che preso così in solitaria, sì risulta un bel brano, ma non ha nessun senso logico, se invece lo ascoltiamo insieme a tutto il disco vediamo come sia fatto apposta, su misura se vogliamo, per essere posizionato nel contesto del resto dell'album, come se fosse un pezzo di puzzle mancante per completarlo. Le esecuzioni strumentali ambient orientali dei due chitarristi, Michael Franzino e Ben Wiacek aggiungono un senso di omogeneità al tutto. Anche se una volta che l'ascoltatore supera il caos iniziale, il risulta finale è più che soddisfacente e le prime impressioni saranno in frantumi perse in piccole parti, come un muro distrutto da un senso di incapacità, dovuto all'inesperienza per reggere tutto ciò che sta accadendo. Il team vocale di  Cory Lockwood e Kurt Travis, è eseguita ad opera d'arte, come si poteva immagina; falsetto inquietante di Kurt che contrasta nettamente gli affascinanti passaggi "parlati" di Cory, che suscitano all'ascoltatore fiumi in piena di tensione, mentre i tipici vocalist puliti post-hardcore e più aggressivi sono due entità distinte strenuamente, creando perfettamente un intreccio irremovibile e formando una potenza dinamica vocale, che raramente viene eseguita così. Inoltre i testi meritano una menzione d'onore in quanto sono forse, alcuni dei testi più intelligenti, ben scritti e carichi di emozione in tutto il genere post-hardcore; forse solo i The Ocean, riescono a tenergli testa. Il duo Corey e Kurt rappresenta un colosso lirico davvero pazzesco; il loro lavoro lega l'album e ingrana perfettamente con il concept dell'album. "No Place" arriva come sventrata, ma emerge più intricato, complesso e calcolato a differenza di "Conversation Piece". Per cui il sestetto è riuscito ulteriormente ad ampliare il proprio bagaglio musicale, facendo qualcosa che fino ad ora non aveva mai fatto; così da dimostrare un'altra maturazione musicale. Nel contesto del vasto panorama post-hardcore, si aggiungono ufficialmente, con  l'uscita di "Conversation Piece", tra i gruppi più di rilievo, ma con questo "No Place", diventano senza ombra di dubbio, una delle migliori realtà e promesse per questo genere, che creatosi da poco, ci sta regalando pian piano dei veri e propri capolavori. Secondo la copertina dunque, sembra che tutte le cose depresse, malate e buie abbiano trovato un posto da chiamare casa.

-Marco







venerdì 15 novembre 2013

Glass Cloud - Perfect War (EP)






ear: 2013
Genre: Djent
Label: Equal Vision (US) / Basick Records (EU)
Sounds Like: The Tony Danza Tapdance Extravaganza
Sentence: Bleeding a perfect war! (7,5)

Glass Cloud.
Da subito con l'uscita del loro primo disco "The Royal Thousand" sono entrati a far parte della ristretta cerchia di gruppi che mi porterò sempre nel cuore; riff spaccaossa, breakdown distruttivi quando servono e melodie fantastiche. Queste sono le uniche parole per descrivere questo gruppo, la cui caratteristica principale è un riffing malato ad opera di uno dei chitarristi (per questi generi estremi) migliori che la terra abbia mai visto (a parere mio). A distanza di un anno e mezzo i Glass Cloud tornano con un ep, uscito il 22 di ottobre, intitolato "Perfect War Forever".  Da premettere subito è il passaggio di Joshua Travis (chitarrista) da una chitarra a 8 corde ad una a 9, donando così al gruppo intero una cattiveria inedita, anche per tutta la scena djent. Il disco è composto da 5 tracce, che risultano passare anche troppo in fretta, soprattutto per la varietà delle traccce che risultano poco ripetitive, più di tutte "How to survive Suicide" e "Soul is dead" che riescono a marcare nettamente questa originalità con riffing più pesanti e complessi della media delle tracce, e parti in pulito che farebbero rabbrividire qualunque appassionato del genere. Ovviamente potrete facilmente intuire come un disco con suoni simili sia stato accolto a braccia aperte da tutti i "djentlemen" del mondo, ed io non sono escluso da questa lista. Canzoni fantastiche, senza dubbio, il cui unico difetto può essere la linearità seguita come schema in quasi tutte le 5 tracce, però tralasciando questo il disco si regge in piedi da solo, e a testa alta, soprattutto perché una perla come "Soul is dead" ha letteralmente abbattuto ogni altra canzone del genere. Insomma, se vi piace il djent questo è un disco assolutamente da ascoltare e da apprezzare!

-Andrea Facchinello





lunedì 11 novembre 2013

Dayshell - Dayshell






Year: 2013
Genre: Post-Hardcore
Label: Sumerian Records
Sound Like: Of Mice & Men, Covette
Sentence: Good start (7,5)

9 Febbraio 2012, Shayley Bourget lascia gli "Of Mice & Men" e decide con i suoi due amici Raul Martinez (alla batteria) e Jordan Wooley (al basso) di formare un nuovo progetto chiamato "Dayshell". Il trio di Costa Mesa, California, presenta un post-hardcore che se da una parte non si discosta moltissimo dalle ultime uscite, dall'altra ha dalla sua interessanti punti di vista che fanno di questo album di debutto un album direi quasi unico. L'album inizia con "Not Coming In", singolo di punta dei californiani, uno dei pezzi più alti di questa produzione dove a far da padrona è la voce fuori dal comune di Bourget che ricorda per certi aspetti Chino Moreno dei Deftones. Poi arriva "Share With Me", canzone riarrangiata per l'album in maniera ottimale, dove la batteria di Martinez fa il suo dovere più che egregiamente. Di questa canzone è stato fatto un music video e devo dire che è davvero esaltate a mio parere. Un altro punto alto è rappresentato dalla traccia "Hail To Queen" dove oltre alle ottime strofe e ritornello si accompagna uno spettacolare bridge di Shayley, seguito da una batteria e un basso che fanno letteralmente salire la carica e l'adrenalina. Però il punto più alto a mio parere di questa produzione si raggiunge alla traccia 9, "Useless", in cui il clean di Bourget tocca uno dei punti più alti mai raggiunti dal vocalist, e il paragone con i Deftones qui si sente ancora maggiormente, rendendola una canzone perfetta; nulla da invidiare ad una qualsiasi delle canzone degli Of Mice & Men. Non è tutto oro quel che luccica, infatti l'album ha delle stonature e si trovano nelle traccie cosiddette "soft", quali "A Waste Of Space" e "When You Fall Asleep Tonight" che a mio parere rovinano un'esperienza che sarebbe stata eccezionale, perché una traccia più tranquilla ci potrebbe stare, ma due già incominciano a farti storcere il naso. Alla fine della fiera, cosa dire di questo album di debutto? E' assolutamente un album fuori dal comune, dove la voce di Shayley Bourget si comporta in maniera superlativa, comunque siamo lontani da considerarlo un capolavoro, infatti a mio parere manca una certa maturazione e innovazione, nel senso che è ancora troppo ancorato alle uscite precedute da questa, (vedi I See Stars-compagni di etichetta, gli A Day To Remember e gli A Skylit Drive) comunque i punti su cui prendere spunto e ricominciare a lavorare ci sono eccome, vedi lo stile musicale, simil-Deftones come già citato e la voce di Shayley Bourget che rimane a mio parere una delle migliori nel panorama del post hardcore. Come inizio è di buon livello, ma si può osare di più! Con queste premesse chiudo. Alla prossima Dayshell e...chissà se Shayley e gli Of Mice & Men ci ripensano...

-Mattia Zaccheroni


venerdì 8 novembre 2013

Plini - Sweet Nothings (EP)






Year: 2013
Genre: Ambient/Instrumental Rock/Fusion
Label: Independent
Sounds Like: /
Sentence: This is perfection (8,5)

Avete presente quando cominciate ad ascoltare una canzone e non riuscite a smettere di premere replay appena questa finisce? Stupendo, vuol dire che la musica che state ascoltando è davvero di vostro gradimento e credetemi se vi dico che il disco di cui parlerò oggi vi causerà quest'effetto sin dalla prima canzone. "Sweet Nothings", questo è il titolo dell'ep in questione, ad opera di un ragazzo australiano che in sole 4 tracce è riuscito a racchiudere migliaia di emozioni.  Con "Sweet Nothings" il giovane  ha oltrepassato i limiti dell'atmosfera e della normalità, offrendo una musica strumentale degna dei migliori compositori al mondo, che intrattiene per tutti i (pochi purtroppo) venti minuti. A mio avviso se un disco strumentale, badate bene, strumentale, è capace di intrattenere l'ascoltatore per tutta la sua durata come questo vuol dire che si toccano i limiti della perfezione dato che il tutto risulta quindi vario e mai ripetitivo. Prendete come esempio la seconda traccia "Tarred & Feathered" in questi soli tre minuti è racchiusa una sorta di magia che tra riffing di chitarra perfetti, synth spaziali e momenti di leggerezza offre quasi un distacco dalla realtà. Ovviamente ho preso come esempio quella che preferisco di più, ma ciò non toglie che le altre siano allo stesso modo entusiasmanti, solamente che grazie ai  suoi particolari arpeggi e synth questa traccia è diventata ormai un ascolto di routine nella mia giornata. Per questi motivi, senza indugi mi permetto di dire che questo è il miglior disco di questo 2013 a mio avviso (almeno per ora) e che ascoltare questo capolavoro non potrà che esservi d'aiuto per comprendere meglio il concetto di "musica". So che questa non è una recensione che vi aspettereste di vedere su un sito come questo, dato che questo disco non ha nulla a che fare col metal, però finito il primo ascolto di questo ep ho pensato:"Devo recensirlo". Ed eccovi serviti.

-Andrea Facchinello




martedì 5 novembre 2013

Rivers of Nihil - The Conscious Seed of Light






Year: 2013
Genre: Technical Death Metal
Label: Metal Blade Records
Sounds Like: Decrepit Birth, Spawn of Possession
Sentence: Djent meets Tech Death Metal (7)

Dopo due ep un po' anonimi, fanno l'album e la Metal Blade Records li ingaggia. Ecco come si potrebbe riassumere la storia dei Rivers of Nihil nella maniera più breve possibile. Ebbene sì, ecco tornare il quintetto americano, con questo full pronto a spazzare via le foglie dagli alberi, senza che ci pensi l'autunno; ma un basso super droppato, due 7 corde, una più che sufficiente tecnica e un po' di tamarrosità, basteranno?

C'è da dire che l'originalità non spicca in questo "The Conscious Seed of the Light", dato che abbiamo dalle prime tracce dei rimandi a titani del technical come Spawn of Possession, Decrepith Birth, Beyond Creation e robe simili, per cui se  volevate (come il sottoscritto) trovare qualcosa di nuovo, o almeno insolito in questo disco, beh ve lo potete scordare fin da subito; salvo gli accenni di djent che però sono un po' poco per identificare e segnare un album. Questo però non significa affatto che è un pessimo disco anzi, gode di un'ottima produzione, di un'eccellente qualità e di alcune tracce veramente ben fatte. Ed inizierei appunto citandole, dato che le altre non mi hanno fatto ne caldo ne freddo, ma soprattutto mi hanno quasi annoiato, dato che mi sembrava di ascoltare i gruppi prima citati. Sicuramente la fighissima intro "Terrestria I: Thaw" fatta in tremolo picking, mentre si crea un'atmosfera veramente cupa, quasi da blackened death metal: uno splendore, che verso la fine apre alla miglior, senza dubbio, traccia del disco. E non a caso è proprio quella che avevano rilasciato prima dell'uscita dell'album; ma guarda tu il fato. Ovviamente stiamo parlando di "Rain Eater", una traccia "completa" sotto tutti i punti di vista, non tanto classificabile come technical death metal, ma più come blackened death metal, dato che sono presenti molti riff lenti a spezzare, note alte sempre plettrate dal tremolo picking e non mancano neanche accenni di djent e rimandi agli Immolation quasi alla fine: che dire, la traccia perfetta. E a questo punto non puoi che dire "Cazzo che disco!", "Se continua su questa scia lo reputo il miglior album tech dell'anno" e cose così. Ma dopo la terza traccia, "Birth of the Omnisavior", già si spegne almeno il 50% di entusiasmo che ti circondava fino a pochi minuti fa. Ma va beh, una traccia che non è a livelli della precedente è più che lecita, anche se tutto sommato non è male; segue in parte la precedente per alcuni aspetti, ma differenzia per un aumento e una durata di velocità portato a livelli davvero estremi. La successiva "Soil & Seed" è viziata forse, da una durata troppo eccessiva; nel senso che se mi vuoi fare una canzone che duri più della straordinaria "Rain Eater", mi devi fare una canzone con i contro cazzi come è essa o addirittura una migliore (ok chiedo troppo). Ma nel complesso mi sono piaciute le atmosfere blackened e la voce di Jake che diventa quasi come quella di Nergal, ma come ripeto, durata eccessiva. In "Central Antheneum" c'è uno stacco arrivati a metà, dove possiamo riassaporare le atmosfere buie e cupe della intro, seppur per poco tempo. E già a questo punto il tuo parere, da quello precedente, passa a "Beh forse prima ero troppo eccitato, devo tornare con i piedi per terra". Le seguenti 3 tracce, "Mechanical Trees", "Place of Serpents" e "Human Adaptation" sono senza dubbio le più incazzate dell'album. E dopo averle ascoltate, mi sono incazzato e non poco. Ma dico io, perché cazzo dovete buttarvi nella massa andando a 3000 di metronomo dopo aver sfornato brani dalle atmosfere blackened veramente ben fatte? Risposta: perché alla fine è un disco technical death metal e la velocità è tutto. Che lo vogliate o no, se continuavano il disco da "Central Antheneum" in poi facendo tutte tracce su quella linea, il disco non era più tech death, ma diventava blackened. Perché lo sto dicendo? Perché sarebbe stato molto meglio, dato che quelle tracce sembra non c'entrino un cazzo con il resto! Ma non importa, andiamo avanti. Anche la successiva "A Fertile Altar" è una traccia molto veloce, anche se alla fine ha dei rallentamenti che aprono a uno dei riff tech più ganzi di tutto l'album, motivo per cui non l'ho messa insieme alle altre 3. E a chiudere questo "discutibile" album, abbiamo "Airless", e il titolo dice tutto su come mi sento in questo momento...tornando a noi, una buonissima traccia per chiudere, con cambi di tempo veramente inaspettati e un'atmosfera a chiudere veramente intensa. Mi viene quasi da pensare che quei 3 brani, siano fillers o fatti tanto per fare...va beh forse esagero. Fatto sta, che se il voto è basso dipende in gran parte dai quei 3 pezzi, e da una mancanza di originalità e uno scopiazzamento eccessivo a tratti. Un disco moderno che racchiude molto di questi anni, ma molto che non hanno fatto i Rivers of Nihil, ma i titani dei generi che compaiono in questo "The Conscious Seed of Light".

-Marco





venerdì 1 novembre 2013

Children of Bodom - Halo of Blood






Year: 2013
Genre: Melodic Death Metal
Label: Nuclear Blast
Sounds like: Children Of Bodom (old), Scar Simmetry, Norther
Sentence: Holy shit (7,5)

E quando venne annunciato dalla band che quest'album sarebbe stato sulla falsa riga dei primi tre successi non ho potuto che gioire nel sentire la notizia. Sì, adoro i Children Of Bodom, sebbene la loro immagine "TrAsGre !!1!1" li faccia apparire come band da fighette attempate. "Halo of Blood" è una perla insperata, un ritorno alle influenze black del debutto "Something Wild" e dei due album seguenti. Si parte con "Waste of Skin", traccia con un riff da brividi e melodie allucinanti e, se possibile, con un ritornello ancora più esaltante. Un passaggio di batteria introduce "Halo of Blood", velocissima e furiosa con un riff iniziale in purissimo stile black. La bellissima "Scream for Silence" è un altra carta vincente del disco, con un Laiho che sembra aver recuperato la voce. Sebbene "Transference" sia il singolo di traino del disco, è una delle meno belle del disco (sebbene sia migliore di tutte le canzoni dei due album precedenti) e ha un ritornello abbastanza indigesto, con una linea melodica che non centra nulla con il riff precedente. Tutto sommato, la leggera amarezza è completamente rimossa da un pezzone come "Bodom Blue Moon", fulminante e potentissimo, ottimo per rientrare in pieno nel disco. Anche "Your Days Are Numbered" è un grande pezzo, pieno di riff assassini e potenti. E quando pensavo di essere pronto per un altro pezzo velocissimo, ecco "Dead Man's Hand on You"; nessuna parola per descriverla, un low tempo e un riff arpeggiato semplice ma efficace. Tutta la traccia è pervasa da un'atmosfera molto depressiva, strana per i Bodom, da notare anche la cantilenante voce di Laiho, che si fonde perfettamente con le note della canzone. Il riposo però dura poco, ecco "Damaged Beyond Repair"altra traccia potente e molto ritmata. Poi il capolavoro "All Twisted", sebbene ad un primo ascolto non possa sembrare così spettacolare, è, per la mia modesta opinione una delle migliori tracce mai scritte dai bimbi. Un riff tagliente e un ritornello spettacolare ne fanno un must per chiunque voglia avvicinarsi alla band. La traccia che, invece, ho apprezzato meno è la conclusiva "One Bottle and A Knee Deep", canzone che non è riuscita a trasmettermi nulla di particolare. Nell'edizione giapponese sono presenti due cover di brani lontani dallo stile dei Bodom, come di consueto (io però ho ascoltato solo l'edizione normale). Questo era Halo of Blood dei Children Of Bodom, il migliore dai tempi di "Are You Dead Yet ?". SPERIAMO e ripeto SPERIAMO, che Alexi Laiho la pianti di fare il deficiente e che continui sulla linea di quest'ultimo disco.

-Niccolò Silvi


lunedì 28 ottobre 2013

Science of Sleep - Exhaust






Year: 2013
Genre: Deathcore
Label: Bastardized Recordings
Sounds Like: Thy Art Is Murder, I Declare War
Sentence: TAIS are in Germany! (7)

Dopo che i Thy Art is Murder hanno rilasciato un disco, "Hate", che per quanto mi fosse piaciuto, sono consapevole che esso non lascerà il segno tra i migliori del genere, ecco che ritornano i Science of Sleep, una band deathcore tedesca, che di TAIS ha veramente molto (e forse anche troppo). Ma torniamo leggermente indietro, precisamente al primo lavoro pubblicato dalla band, ovvero l'ep "Affliction"; partiamo subito dicendo che era un autoprodotto e per forza di cose, risultava essere più grezzo di questo "Exhaust", dunque la differenza di qualità è nettissima: ma questo ci sta. Ma lasciando stare queste pecche, quasi inevitabili se vogliamo, l'ep nel complesso risultava veramente ben fatto, con qualche idea quasi "nuova" e con una devastazione incredibile, per non parlare della traccia "Fraudulent Misrepresentation", una dei migliori pezzi deathcore degli ultimi anni. Detto ciò vediamo questo "Exhaust" se ha superato il test oppure no, anche se già vi accenno subito che una risposta ben precisa a questa domanda non la troverete, almeno non da me. Come già detto i TAIS non hanno stupito con l'ultimo album, per cui non è che questi Science of Sleep volevano rimediare, facendo uscire un disco sulla scia di quello ma con un impronta migliore? Forse è quello che volevano fare, ma ahimé non ci sono proprio riusciti. Se intendevano fare una cosa del genere, dovevano prendere alcuni elementi e trasformarli in idee personali, anziché prendere una buona parte di riff identici e cambiarli un po'. Se avete ascoltato ogni disco/ep/promo dei TAIS capirete cosa sto dicendo. Non saprei nemmeno come descrivere le tracce, perché leggendo quello che ho scritto sopra, lo capirebbe chiunque abbia un orecchio un po'allenato per questi generi estremi. Fatto sta, che l'idea che si ispirino a una delle mie band preferite del settore deathcore mi è piaciuta e non poco, ma questi hanno senza dubbio esagerato. Alcune webzine gli hanno dato 5, altre addirittura 10! Voti, dal mio punto di vista completamente errati, anche perché 5 è decisamente troppo poco, dato che gode di un'ottima produzione e di una potenza inaudita che non si spegne per tutta la durata (37 minuti circa), e 10 beh, è decisamente troppo per i motivi appena elencati. Spero vivamente in un ritorno più "personale" della band, dato che le idee chiare ce l'hanno, ma dovrebbero distaccarsi dalla teoria del deathcore di stampo australiano (giusto per non ripetere), e formarsi una propria scanalatura di personalità e inventiva, che ancora non hanno mostrato. Conclusione: se adorate queste sonorità, un po' ripetitive all'infinito e oltre, allora ascoltatelo senza ripensamenti, ma se cercate qualcosa di nuovo da questo genere, è già strano che siete arrivati fino a qua a leggere...beh comunque sia non farà per voi.

-Marco




venerdì 25 ottobre 2013

Bear - Noumenon






Year: 2013
Genre: Djent/Mathcore
Label: Basick Records
Sounds Like: Tony Danza Tapdance Extravaganza, Acheode
Sentence: Little masterpiece (8,5)

Bear. Un nome una garanzia.
Da un nome così ci si può aspettare un suono possente, spaventoso, come appunto dev'essere trovarsi un orso davanti mentre si fa un tranquillo pic-nic, con la morosa (cosa che credo pochi facciano). Si entra nell'ambito musicale che adoro più di tutti: il djent, ma non normale, sincopato e di "facile" comprensione come Periphery o Veil of Maya; qua si oltrepassano i limiti dell'armonia e della melodia per arrivare a quel suono che per la sua stranezza risulta fantastico e piacevole da ascoltare. I Bear con questo loro secondo disco "Noumenon", uscito il 7 di ottobre, propongono un djent malato, matematico, con la maggior parte dei riff abbastanza incomprensibili per un orecchio non allenato, esempio di questo sono le tracce "Rain" e "The falling" che con certi passaggi hanno spaventato pure me, ascoltatore assiduo di gruppi come Tony Danza Tapdance Extravaganza e simili. Il lavoro dal punto di vista della chitarra risulta perfetto, certo è inquietante e incomprensibile in certi punti ma forse è questo il fattore che mi ha fatto amare alla follia questo gruppo sin da subito.

La voce: per questo serve un capitolo a parte.  I vocalizzi del cantante mi hanno ipnotizzato per tutta la durata del disco, grattati, cattivi, e potenti. Ovviamente pure in questo campo vi è la componente inquietante ad esempio nella traccia "Rain" le parti di voci pulita le ho ascoltate più di 20 volte, dato che ne sono stato attirato sin dal primo ascolto. Nel complesso questo disco risulta un ascolto difficile per orecchie abituate a sound "puri" e di facile comprensione come i già citati Periphery o qualsiasi altro gruppo, però può comunque essere veramente piacevole, tracce differenti fra loro e mai ripetitive. La componente malata di questo disco per me è un fattore positivo, anzi, ULTRA positivo, per altri invece può essere un difetto, quindi si sa che il mio parere non può essere totalmente oggettivo. Però vi invito calorosamente a godere insieme a me di questa perla offerta da questo nobile quartetto belga.

-Andrea Facchinello


lunedì 21 ottobre 2013

Burzum - Sol austan, Mani vestan






Year: 2013
Genre: Dark ambient
Label: Byelobog productions
Sounds Like: Tangerine Dream
Sentence: Best of year? (8)

Varg Vikernes, dopo il discreto “Umskiptar” dell’anno scorso, ultimo (per ora) disco black metal a marchio Burzum, torna quest’anno con il suo terzo album ambient, dopo Daudi Baldrs (1997) e Hlidskjàlf (1999). Quegli album furono registrati quando Varg era in prigione e non gli era possibile suonare gli strumenti necessari ad un album black metal, ma quella di quest’anno è una precisa scelta della one man band norvegese, che esplora sempre più a fondo le antiche tradizioni pagane, così care a Vikernes, che proprio per questo si è tanto dato da fare in passato, come tutti ormai sappiamo, nel rogo di numerose chiese cristiane, simboli dell’eradicamento del paganesimo dalla sua antica terra. Varg cita i Tangerine Dream ed i 2 precedenti Burzum sovracitati, per descrivere lo stile di questo nuovo album, che in antico norvegese significa “Ad est del Sole, ad Ovest della Luna” e fa da colonna sonora al film-documentario “Forebears”, prodotto e diretto dallo stesso Vikernes e da sua moglie. La copertina è molto bella: Il ratto di Proserpina (1888) dello spagnolo Ulpiano Checa. Il viaggio inizia proprio con “Sol Austan”: suoni “cosmici” che fanno pensare (ad un appassionato di fantascienza come me) al lungo sonno criogenico di un equipaggio di un’astronave alla deriva nello spazio, che dorme inconsapevole della rotta seguita. In “Runar Munt Pu Finna” fanno la loro comparsa alcune percussioni, tra cui un martello che colpisce l’incudine, e un basso acustico, e per proseguire la mia fantasia, questa bella traccia mi porta, dopo l’atterraggio dell’astronave su un pianeta sconosciuto, al risveglio dell’equipaggio, dopo anni di stasi. “Solarras” introduce alcune note di chitarra acustica, mentre i sette membri della spedizione danno il via all’esplorazione di questo nuovo mondo freddo, roccioso, arido e all’apparenza disabitato. Ad un tratto però qualcosa cambia: il sentore di un pericolo, di qualcuno o qualcosa che osserva, studia, giudica.. è “Haugaeldr”, con le sue tastiere “cosmiche” incalzanti e ansiogene; pericolo scampato, perché la minaccia svanisce di fronte ad un’aperta manifestazione di pace, da parte di una “tribù” di nativi del posto (Fedrahellir), che con molta calma, ma appassionatamente, riescono a spiegare la loro condizione: stanno morendo, sono gli ultimi esseri viventi rimasti sul piccolo pianeta morente (Solargudi); sembrano accettare con filosofia la loro condizione e rifiutano di farsi aiutare (Ganga at Solu). Perché? Perché sanno che non c’è niente da fare.. il pianeta è infetto, ed infetta chiunque lo abiti troppo a lungo. Per loro non c’è più niente da fare ormai, ma i terrestri possono salvarsi, se se ne andranno subito. Rivelazione sconvolgente (Hid) convalidata dai dati che i sistemi di sicurezza delle loro tute comunicano ai terrestri: c’è qualcosa che non va.. l’ansia cresce, com’è possibile? Sono sul pianeta da nemmeno un’ora ed indossano le tute di sicurezza.. forse gli indigeni sono più resistenti, essendo nati lì, ma nei terrestri, qualsiasi cosa sia, ha trovato un terreno troppo facile da aggredire col suo male..il sentore della morte cresce sempre più, mentre alcuni di loro cadono a terra in preda a convulsioni (Heljarmyrkr). Negli occhi degli indigeni c’è tristezza, accettazione, fatalismo (Mani Vestan), mentre guardano i terrestri cadere uno dopo l’altro, mentre osservano uno di loro che fugge verso l’astronave e da il via alla procedura di ritorno sulla Terra, prima di cadere anch’esso. L’unica cosa che possono fare, oramai, è riportare, con grande fatica, i corpi a bordo dell’astronave, per farne una tomba. Il pensiero di fuggire con quel mezzo, programmato per tornare sul pianeta dal quale è partito sfiora le loro menti, ma solo per poco, perché la loro presenza porterebbe il male anche lì. Così tornano indietro, verso il loro villaggio, nell’attesa della morte (Solbjorg). Certamente Sol Austan, Mani Vestan è un album che può annoiare, ma ascoltato nel modo giusto e nel posto giusto riesce a creare atmosfere bellissime. L’ho ascoltato a lungo nel  mio negozio, e più di una volta i clienti mi hanno chiesto che musica fosse quella che stavo ascoltando, dimostrando di apprezzarla. Ho evitato di dirgli chi fosse l’autore, ma dentro di me sorridevo compiaciuto.

-Pierluigi Bani





giovedì 17 ottobre 2013

The Browning - Hypernova






Year: 2013
Genre: Metalcore/Electronic
Label: Earache/Century Media Records
Sounds Like: Breakdown of Sanity, The Crimson Armada
Sentence: Lack of new elements (7)

Ormai non dobbiamo stupirci più di nulla. La musica continua e continuerà sempre a assumere diverse sfaccettature nel bene e nel male se vogliamo. Anche il metal, genere che agli inizi criticava la musica da console fatta unicamente da una persona che sfrega dei piatti. Ma ormai oggi il metal ha incontrato e sposato l'elettronica, anche se ai fans dell'old school questa cosa non va tanto giù. Bene ed è proprio in questo nuovo genere, che nascono i Browning, band che aggiunge al solito metalcore/deathcore fatto di scream, growl e breakdown, elementi derivati appunto dall'elettronica. Mi era piaciuto molto il loro album di debutto "Burn This World", ed è proprio grazie a quel disco che mi son avvicinato a questo interessante miscuglio di generi. Oggi 2013, si ripresentano forti di una buona fama mondiale, con questo "Hypernova". La formula è sempre quella: breakdown accompagnato da growl, manciata di riff accompagnati da scream metalcore ed elementi di elettronica pura a sfalzare ed a rendere il tutto molto imprevedibile. Proprio lo stesso procedimento che presentava "Burn This World"; per cui non aspettatevi nulla di nuovo, anche perché a parer mio ogni singolo brano di questo disco poteva fare la sua comparsa senza problemi nel precedente. Detto ciò mi sembra inutile analizzare le tracce, dato che direi le stesse identiche cose per ogni cazzo di brano. Tuttavia a me, soggettivamente parlando ovviamente, è piaciuto molto. Le chitarre sono "vive" e si fanno sentire, non aspettatevi nulla di tecnico però; anche la voce di "McBee" crea il giusto ritmo e la giusta frenesia. Le parti di batteria sono abbastanza semplici, per cui nulla da dire e le parti di elettronica, beh quelle sono il top (cosa prevedibile che dite?), arrivano sempre al giusto momento e svaniscono quando i VERI strumenti, devono dominare la scena. Perciò che dire? Ripeto che per me è un buonissimo disco, che fa la sua figura riguardo al genere molto singolare; ascoltatelo senza problemi anche senza ascoltarvi il precedente lavoro, perché la differenza è davvero minima.

-Marco





lunedì 14 ottobre 2013

Conducting From the Grave - Conducting From the Grave






Year: 2013
Genre: Melodic Deathcore
Label: Independent
Sounds Like: Recite the Raven, As the monster becomes
Sentence: Majestic (8)

Se a quel piccolo capolavoro che è "Siege Breaker" dei Recite the Raven ho dato solo un "misero" 7,5, a questo oserei dire, imponente lavoro, omonimo, dei Conducting from the Grave dovrò riservare un voto assai superiore. Ovviamente si sa che il recensore ci mette il suo zampino e la recensione sarà sempre un po' soggettiva, ma in questo caso sarò il più oggettivo possibile dicendo che i Conducting From the Grave hanno prodotto un vero capolavoro del deathcore moderno. Prima di entrare nei particolari di questo lavoro bisogna dire che la band è attiva dall'ormai lontano 2003 e il primo loro full-length risale al 2009. "Conducting from the grave" è il terzo tassello per il gruppo, che sin dall'uscita del loro primo album hanno riscosso un notevole successo. Comincio col dire che  non mi dilungherò parlando traccia per traccia dato che ogni brano è ottimo, le sbavature sono pochissime quindi preferisco dare un'infarinatura generale di quello che può essere l'ascolto di questo disco. Sin dalla prima traccia si nota quanto il deathcore proposto da questa band non sia quello piatto e affine a se stesso solito del genere, infatti il gruppo aggiunge molte parti armoniche e parti molto sincopate, quindi facendo risultare il tutto molto più piacevole per l'ascoltatore. Come ho detto prima questo disco è veramente imponente soprattutto in brani come "The rise" dove sfuriate degne dei deathsters più capaci, sia da parte delle chitarre, che da parte delle batterie.  Come sempre però c'è da tenere conto, soprattutto in questo genere, della voce che in questo album è fantastica, scream potenti che propongono un muro sonoro devastante! Nonostante il genere che si portano dietro questi giovanotti propongono anche parti in pulito, come nella quarta traccia "Signs", proposta sempre in modo fantastico (un dettaglio che mi pare doveroso aggiungere è che dopo le parti in voce pulita partono i breakdown più imponenti del disco, sempre a favore della malleabilità di questa band). Disco per niente banale o ripetitivo, difficile trovare sbavature, magari qualche riff un po' scontato, ma sono si e no 2 in tutto il disco, cosa che passa sicuramente in secondo piano rispetto alla prepotenza del resto del guitar-work. Come avete capito questo è un album vario, che può piacere ma anche non piacere, magari ad alcuni può dare fastidio questa alternanza di parti melodiche a parti feroci, ma dal canto mio, questo  è un punto a favore dato che in pochi riescono a fare questo senza cadere nella banalità. Ho elogiato abbastanza questo lavoro quindi a voi il giudizio finale, ma sappiate che non vi pentirete affatto quando l'avrete ascoltato.

-Andrea Facchinello



venerdì 11 ottobre 2013

Annihilator – Feast






Year: 2013
Genre: Technical Thrash/Groove
Label: UDR
Sounds Like: Metallica/ Havok
Sentence: Very good (8)

Come avevo accennato nella mia prima recensione (su “Waves of Destruction” degli Hate Force One) il thrash metal di questi tempi è tornato alla ribalta quasi solo in ambito underground, con band come Sanity's Rage, Vektor, Havok ed altre che replicano quanto di buono hanno espresso i Big 4 e simili negli anni d'oro della Bay Area degli anni '80. Tra questi due contesti i canadesi Annihilator si sono sempre mossi nel mezzo, con una carriera piena di alti e bassi quasi trentennale e con alle spalle capolavori storici del technical thrash metal come “Alice In Hell” o “King of The Kill”. Dopo un lungo periodo di chiaroscuri e l'ennesimo cambio di formazione, il duo Jeff Waters/ Dave Padden, accompagnati da Mark Harshaw alla batteria e Alberto Campuzano al basso, rilasciano il loro quattordicesimo lavoro in studio, “Feast”. Guardando la copertina dell'album, che  ritrae uno zombie intento a banchettare (sono “fan” di tutto ciò che ha a che fare con i morti viventi), mi sono detto: “perché mettere uno zombie in una copertina di un disco thrash metal?”. Così, dopo averlo messo nell'Ipod, spingo “play” ed inizio ad ascoltare. La risposta a questa domanda non l'ho ancora trovata, però il disco è ELETTRIZZANTE, cacchio! Ma vado per ordine. Si comincia con “Deadlock”, traccia in stile "Kill' Em All" che mette subito in chiaro come Waters abbia deciso di tornare a fare le cose in grande: riff velocissimi, ritmica precisa come un orologio e la voce di Padden che bene o male fa il suo lavoro, anche se non particolarmente ispirata. Si passa poi a “No Way Out” e “Smear Campaign”, senza dubbio le tracce più arrabbiate di tutto l'album, che consolidano Harshaw come un batterista pieno di talento; vi è poi la traccia che mi ha lasciato un po' perplesso in tutto l'album: “No Surrender”. Sembra quasi che abbiano voluto emulare i Red Hot Chili Peppers o i Living Colour, visto il taglio decisamente Funk che se da un lato è una piacevole varietà al sound del gruppo, dall'altro  è una traccia fuori posto rispetto alle altre. Si passa a “Perfect Angel Eyes”, ballad in puro stile Annihilator, che per i più duri risulterà noiosa, mentre per gli altri sarà il momento di spalancare le porte al passato storico degli Annihilator. “Fight the World” (classica thrash song con l'inizio a chitarra acustica) è un po' spaccata in due : da un lato Campuzano ci regala un assolo di basso davvero degno di nota, dall'altro la  performance vocale di Padden in questa traccia l'ho trovata un po' penosa e sottotono rispetto alle altre, ma niente di grave. La traccia migliore dell'album sicuramente è la finale “One Falls, Two Rises”: 8 minuti (la più lunga dell'album) assolutamente perfetti fra cambi di tempo, parti groove, tecnica a mille e potenza inaudita che conclude in bellezza un grande (e deciso) ritorno per gli Annihilator nello scenario Metal moderno. Sì, mi sento decisamente soddisfatto. Alcuni di voi diranno “Disco thrash dell'anno?”; di sicuro non lo è (in questo ambito ritengo “Unnatural Selection” degli Havok degno di tale posto), però rimane un eccellente lavoro di coerenza e recupero musicale attuato negli ultimi anni che va ascoltato con passione e gioia. Non ho ancora trovato risposta alla domanda “perché mettere uno zombie in una copertina di un disco thrash metal?”, ma vabbeh; almeno sono contento.

-Lorenzo Tagliatesta








lunedì 7 ottobre 2013

Scent of Death - Of Martyrs's Agony and Hate






Year: 2012
Genre: Technical Death Metal
Label: Pathologically Explicit Recordings
Sounds Like: Immolation, Behemoth, Nile
Sentence: The Death Metal! (8,5)

Sicuramente non famosa nel mondo per le sue emergenti band di stampo death metal, la Spagna è qui per portarci (oltre agli acclamatissimi Wormed) un nuovo estratto davvero estremo: gli Scent of Death! Questo quintetto ritorna dopo ben 7 anni, dall'ultimo "Woven in the Book of Hate" nel quale grazie ad esso abbiamo imparato a conoscerli ed ad assaporare l'estremità made in Spagna. Ma oggi, il quintetto dopo molteplici cambi di line up è qui per marchiare la scena mondiale con un disco che, secondo me, ha buone possibilità di farlo: "Of Martyrs's Agony and Hate". Già dalla cover possiamo subito intuire una fortissima influenza di blasfemia nello stile e nei testi e già con questo elemento possiamo parlare di roba old school, anche se nel sound non mancheranno elementi moderni. L'album presenta 9 brani, di cui uno instrumental, all'insegna del death metal più estremo, molto influenzato da band come Immolation e Behemoth e Morbid Angel (vecchi, ovvio).

Qui di fianco l'attuale line up della band.


Ed ora analizziamo ogni traccia di questo "Of Martyrs's Agony and Hate".

Ad aprire le danze abbiamo "Awakening of the Liar", che inizia con la classica intro inquietante che ad un tratto lascia spazio al devasto prodotto da quella macchina di Rolando alla batteria e Sérgio alla voce, mentre le chitarre già si mostrano possenti e molto ben regolate nell'insieme. Classico brano death metal, con cambi di tempo allucinanti e formazione che non perde mai di potenza. Assolo molto alla Immolation, lento con armonici qua e là. Non si poteva iniziare in modo migliore.
"The Enemy of My Enemy", ti fa subito capire, che non avrebbe senso se non sorretto dal precedente; questo a significare che l'album deve essere sentito tutto d'un fiato, senza pause ne cambi di traccia, perché perderebbe gran parte della sua incisività. Anche qui troviamo a metà un assolo a rompere l'estremità poco prima raggiunta; non voglio essere ripetitivo ma qui a tratti sembra veramente di sentire gli Immolation, ma troviamo anche evidenti rimandi a "Zos Kia Cultus" dei Behemoth.
"Ego Te Provoco" inizia con i prima citati armonici, poi si stabilizza restando comunque sia imprevedibile in alcuni punti...e termina, con uno dei riff (sempre usando armonici) più belli di sempre.
"Feeling the Fear" è il brano (tralasciando l'instrumental) che dura di meno, quindi potete già immaginarvi la velocità d'esecuzione da farvi muovere la testa senza rendervene conto. Ma a questa brutalità, aggiungete qualche riff sulle note alte alla Behemoth: uno spettacolo per le orecchie.
"A Simple Twist of Fate" cerca di restare molto imprevedibile, cambiando spesso tempo e facendo alternare le chitarre di Bernardo e Jorge all'infinito, creando riff veramente  complessi e ben elaborati. Già arrivati a questo punto, ci si rende conto delle gran doti dei musicisti che non perdono di potenza e di lucidità dopo già oltre 20 minuti di estremità a livelli quasi disumani.
"Man Kills, God Too" in questo brano c'è subito da sottolineare la prestazione del vocalist Sérgio, possente e preciso come un orologio svizzero. Poco prima della metà si ha un riff che mi ha lasciato a bocca aperta, accompagnato subito dopo dalla notevole prestazione di Sérgio, che lascia poi spazio al solito assolo che arriva proprio al momento giusto. Fin'ora non posso altro che dire TANTA ROBA per le mie orecchie.
"The Fathers's Sins" anche qui non si può non sottolineare la bestiale prestazione di Sérgio e la mitraglia portata ai massimi livelli da Rolando. Armonici a raffica che precedono un momento in cui ho detto "ecco l'assolo", invece il brano finisce ripetendo più volte lo stesso riff; tanto per sottolineare l'imprevedibilità che possiede questo disco.
Ecco "The Sleeper Must Awake", il brano instrumental che è perfetto arrivati a questo punto, per staccare leggermente la spina. Oltre ad avere questo scopo però, devo dire che è ben fatto con  partiture di chitarra semi-distorta molto intriganti e inquietanti. Ma neanche il tempo di finire la descrizione dell'instrumental, che si riparte in quarta con "Sear Me in a Sea of Snakes" altro brano molto interessante, portato a millemila dagli ottimi strumentisti, che verso la metà (come quasi tutti gli altri i brani) cessa di massacrare e  ti spara un altro grande riff con contenuti armonici, fino all'arrivo dell'ultimo assolo, molto breve in questo caso.
Uh, che roba ragazzi! Ci siamo, è (sfortunatamente) finito e ora tocca ai giudizi. Intanto devo dire che mi è dispiaciuto che sia uscito alla fine del 2012 e non all'inizio del 2013, dato che io l'avrei messo tra i migliori di quest'anno tra i dischi death senza dubbio. Va beh, a parte questo, non smorziamo subito il suo valore, dato che secondo me in questo disco ci sono riff, passaggi, partiture e via dicendo, che potrebbero segnarlo come disco death del decennio. Cioè prendere gli Immolation, i Behemoth e le atmosfere dei Nile e metterle insieme in un unico album death metal! Roba da fantascienza, che i Scent of Death per mia (e spero anche vostra) fortuna hanno fatto. Avanti così ragazzi; ma non fateci aspettare altri 7 anni per il prossimo full-length!
p.s. Ringrazio la band per avermi spedito tutto il materiale necessario.

-Marco